Avvenire

av-ve-nì-re

Significato Come verbo, accadere, succedere; come aggettivo e sostantivo, futuro

Etimologia dal latino advenire ‘giungere’, derivato di venire con prefisso ad- che indica avvicinamento.

  • «Chissà che cosa riserva l'avvenire.»

Trovare parole per il futuro non è per niente banale. Non in generale, intendo proprio a livello lessicale: come si indica, quali riferimenti possiamo elaborare in una parola per indicare qualcosa che concretamente non c’è e non si addita, che è una mera proiezione nel tempo?
Le soluzioni sono diverse, e si distinguono per pragmatismo, per mistero, per poesia.

Prendiamo il futuro stesso: futurus è letteralmente una voce del verbo latino esse, ‘essere’, una voce della coniugazione che non è passata in italiano, il participio futuro (che dà alla qualità un tratto di imminenza, destinazione, intenzione). Bella forza indicare il futuro come qualcosa che ‘sarà’ — è tautologico, e in definitiva pilatesco.
Il domani ha i piedi per terra in maniera intelligente: il latino tardo de mane indicava ‘al mattino’. Una trovata magnifica per scavalcare il problema di indicare il futuro, quella di indicare l’inizio del giorno — del nuovo giorno. E di conseguenza, per estensione, tutto ciò che si trova da quella parte del tempo.
Il latino in effetti usava più comunemente il termine cras, per riferirsi al domani, che però è una parola che non è stata raccolta dall’italiano se non in formazioni dotte come ‘procrastinare’. E peraltro è una parola che non sia sa bene da dove salti fuori, priva di confronti persuasivi.

L’avvenire è una trovata posteriore al latino. Questo conosceva il verbo advenire nel senso di un approssimarsi, un venire in senso fisico, al massimo come un ‘sopraggiungere, avvicinarsi’ anche da un punto di vista temporale; ma le lingue che nascono dal latino fanno fiorire questa suggestione originale.

In italiano ‘avvenire’ è innanzitutto un verbo, in cui ciò che sopraggiunge diventa ciò che accade — come quando avviene un cambiamento, come quando la storia inizia con un «Avvenne che...». Si verifica, succede come se fosse stato su un binario narrativo diretto al qui. Ma il passaggio ulteriore è di bellezza intensa.

Questa azione di avvenire compiuta incessantemente da tutto ciò che accade, che ci viene sospinto addosso nel fiume del tempo, diventa tutto ciò che accadrà, diventa tutto il futuro — l’avvenire, sostantivo e aggettivo. Sentiamo com’è sospeso il tono di questa indefinita, promettente massa di ciò che è ‘a venire’, che si appropinqua ignota da un indecifrabile distanza.

E se acuiamo un po’ i nostri sensi, possiamo percepire quanto futuro sia l’avvenire, come sia una certa distanza.
Non è un futuro troppo stretto, il suo. Anche se parlo di qualcosa che decideremo nei giorni avvenire (o a venire), questo futuro è inteso e reso con una qual dilatazione, quasi con calma, senza imminenze — resta a una certa distanza. E per di più l’avvenire, oltre a un limite inferiore di prossimità, mostra anche un limite superiore di lontananza. Abbiamo l’avvenire che ci aspetta o che aspettiamo, ma c’è anche tutto ciò che, incerto o imprevedibile, è di là da venire.

A prescindere dal suo contenuto atteso o temuto, l’orizzonte dell’avvenire ha una sua medietà indefinita, poetica, tranquilla. Quella dell’avvenire dei figli, quella dell’avvenire di una comunità che si trasforma, quella dell’avvenire di una tecnologia (che magari è proprio avveniristica), quella del nostro avvenire. Un concetto meraviglioso.

Parola pubblicata il 06 Giugno 2024