Barrire
bar-rì-re (io bar-rì-sco)
Significato Di elefante, fare il suo verso
Etimologia dal latino barrire, da barrus ‘elefante’, voce di origine indiana.
Parola pubblicata il 17 Ottobre 2019
bar-rì-re (io bar-rì-sco)
Significato Di elefante, fare il suo verso
Etimologia dal latino barrire, da barrus ‘elefante’, voce di origine indiana.
Parola pubblicata il 17 Ottobre 2019
Questa è una parola con cui abbiamo familiarità fin da bambini, quando i versi degli animali ci entusiasmano: il grillo frinisce, il corvo gracchia, l’elefante barrisce. Ma forse ci sfugge che la storia del barrito è la storia del rapporto con l’alieno — ed è un punto rilevante anche negli usi estensivi di questo verbo.
Il verbo latino barrire deriva da barrus, ‘elefante’, ma non siamo davanti a una parola nostrana. A ben vedere lo stesso termine ‘elefante’ in latino era èlephas, termine ripreso dal greco eléphas, i cui trascorsi precedenti sono piuttosto misteriosi e dibattuti: nemmeno i Greci avevano grande dimestichezza con gli elefanti, le prime cognizioni più strutturate arrivano con le conquiste di Alessandro Magno e le riflessioni di Aristotele. E i Romani, figuriamoci: la prima volta che videro degli elefanti fu in battaglia, ed erano quelli di Pirro, re dell’Epiro (siamo circa nel 280 a.C.); e quando li videro ancora non avevano per loro il nome di èlephas né quello di barrus. Inventarono lì per lì quello di ‘Luca bos’, ossia ‘bue della Lucania’, o ‘vacca della Basilicata’. Sul serio. Dopotutto, lì è dove li incontrarono per la prima volta, presso l’antica Eraclea (vicino all’odierna Policoro), e i bestioni più bestioni che fino ad allora avevano conosciuto erano i buoi, quindi… Be’, non è facile inventare un nome diverso per l’elefante con i soli termini offerti dalla propria fattoria.
Il nome barrus arrivò insieme agli elefanti dall’India, in periodi successivi in cui Roma si affacciò alla globalizzazione — e molti studiosi, oltra a evidenziare una certa rete di nessi con nomi omologhi di lingue indiane, ne adombrano l’origine onomatopeica, in effetti propria di verbi e nomi di molti versi d’animale. Ciò che è curioso è che il barritus, il verso dell’elefante, fu usato per descrivere prima un particolare grido intonato di battaglia dei barbari germanici, e poi la versione riveduta e corretta di questo grido adottata dall’esercito romano stesso. Un’eco davvero speciale di quei barriti che secoli prima precedevano le cariche di Pirro e di Annibale, e che l’esercito romano lo scompigliavano.
Nel clamoroso verso dell’elefante, nel fragoroso squillo delle trombe che i Romani impararono a usare per far imbizzarrire quelli portati in battaglia, nel grido modulato dalle legioni del tardo impero, così come nel clacson dell’autoarticolato e nel boato del macchinario che monta a regime, sentiamo il barrire: vociare alieno, terribile, suggestivo. (Almeno per un passato in cui gli elefanti non erano a tutti familiari e tantomeno ritenuti universalmente simpatici.)