Follia

Le parole della musica

fol-lì-a

Significato Delirio, pazzia, demenza intesa sia come patologia, sia in senso figurato. In musica: danza di origine iberica; schema melodico-armonico in voga nel periodo barocco

Etimologia dal latino fòllis ‘sacco, mantice’, dalla famiglia di flare, ‘soffiare’, da cui ‘folle’, come ‘testa vuota’, con il suffisso -ia, che serve a formare nomi astratti (come in allegro – allegrìa).

  • «Ho speso una follia per il nuovo portatile, ma non mi pento!»

Follie, follie… delirio vano è questo! Ecco un esempio che viene subito alla mente, tratto da La Traviata di Giuseppe Verdi. Però, rimanendo in ambito musicale, la follia può essere ben altro. Juan José Rey la definì come una danza, con testo e musica corrispondenti, condita da una baldoria che rasenta la vera follia.

In effetti, in campo musicale, o è una danza, oppure è questa celebre formula di ostinato, che furoreggiò in Europa per tutto il Seicento:

e che suona così:

Innumerevoli musicisti si avvicendarono a comporre ogni sorta di variazioni sul tema, che era conosciuto da tutti e noto in Francia come folie d’Espagne. Et voilà, ecco tre esempi di Marin Marais, di Arcangelo Corelli e, più tardo, di Mauro Giuliani, solo per citarne alcuni.

La follia barocca derivò forse dalla musica vocale della fine del Quattrocento, in particolare da alcuni villancicos spagnoli e dalle frottole italiane. Verso la fine del Quattrocento è menzionata in alcune fonti, nonostante la musica non sia sopravvissuta, da cui si apprende che era ballata e cantata sia durante le feste popolari che negli spettacoli cortesi.

La follia poteva però indicare anche alcuni componimenti in versi, come le seguidillas o altri brevi testi poetici, dove il canto era accompagnato da sonagli e chitarra, insieme a un tipo di tamburello chiamato pandero.

In un contesto esclusivamente musicale, la parola apparve per la prima volta nel trattato De musica di Francisco Salinas del 1577, mentre in Italia esordì con il Libro primo di intavolatura di chitarrone di Giovanni Girolamo Kapsperger nel 1604. La follia furoreggiò, tanto che fu inclusa in più di cinquanta intavolature per chitarra, a cominciare da quelle di Girolamo Montesardo.

Il nostro Vocabolario degli Accademici della Crusca fu stampato nel 1612, ma il primo dizionario monolingue mai pubblicato in Europa di una lingua moderna fu lo spagnolo Tesoro de la lengua castellana del 1611. La parola Folía non poteva mancare e l’autore, Sebastián de Covarrubias, la definì «una certa danza portoghese, molto rumorosa». Nella sua colorita descrizione, era eseguita da figuranti travestiti da facchini, con sonagli e altri strumenti, che portavano in spalla ragazzi abbigliati da donne. Aggiunse che il nome del ballo derivava dalla parola toscana folle, che significa vuoto, pazzo, senza senso, con la testa vuota. Citò a riprova un verso del Canzoniere di Petrarca, un cult dell’epoca:

Sí travïato è ’l folle mio desio

La parola folle è presente nella nostra lingua sia come sostantivo (nel Medioevo indicava il mantice), sia come aggettivo, con i significati che ben conosciamo. Nel primo caso, il fòllis latino (parente di flàre, soffiare) ha prodotto folata, raffica, refolo, follicolo; nel secondo, folleggiare e folletto, poiché fòllis è il sacco di cuoio, il pallone, e in senso figurato indica una testa vuota, un pazzo.

Sebbene non più in auge com’era avvenuto nel suo periodo aureo, la follia continuò a essere frequentata con alterna fortuna, passando da Bach a Liszt, fino a Rachmaninov.

Follia e creatività vivono in simbiosi nella nostra cultura sin dai tempi antichi. Una mente creativa funziona in modo originale: artisti, poeti, musicisti e scienziati sono a volte ritenuti folli, almeno in parte. Ma con la loro follia possono raggiungere vette eccezionali che le persone normali neanche immaginano.

Insomma, a stare dietro alla follia, c’è da perdere la testa.

Parola pubblicata il 12 Febbraio 2023

Le parole della musica - con Antonella Nigro

La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale