Sapiente
Radici indoeuropee
sa-pièn-te
Significato ‘Che sa, che ha grande cultura’ (in italiano antico anche ‘che ha un sapore intenso, saporito’)
Etimologia dal latino sapiens, genitivo sapientis, ‘assennato, sapiente’.
- «Il filosofo Talete e il tiranno Pittaco sono annoverati tra i Sette Sapienti.»
Parola pubblicata il 13 Dicembre 2025 • di Erica Fratellini e Matteo Macciò
Radici indoeuropee - con Erica Fratellini e Matteo Macciò
Con Erica Fratellini e Matteo Macciò, glottologi e indoeuropeisti, un sabato su due andremo alla scoperta delle radici indoeuropee delle nostre parole — là dove sono nati i miti, le prime tecnologie, i nomi degli animali e delle parti del nostro corpo. Un 'là' che è 'qua', così come la chioma e il ceppo sono nello stesso posto.
In questo articolo strumentale puoi trovare alcune note di carattere generale riguardo a questo ciclo di parole. L’articolo verrà aggiornato nel tempo.
Sapiente è una parola che tutti conosciamo e utilizziamo, è un bel complimento per la persona di cui si sta parlando, che acquista ancora più valore se siamo consci della sua etimologia. In latino sapiens (genitivo sapientis) è infatti il participio presente del verbo sapio ‘avere sapore’, usato in relazione ai cibi, che in séguito ha subìto uno slittamento semantico in senso figurato, acquisendo anche il valore di ‘essere assennato’.
Il passaggio da ‘avere sapore’ a ‘essere assennato’ è facilmente intuibile: una persona che ha senno e cultura è una persona che ‘ha sapore’, che ‘sa di qualcosa’, al contrario di una di poco valore, che non sa di niente, che è insipida, sciapa.
Questo nesso di significati è già presente nel mondo romano: la stessa parola latina sal ‘sale’, soprattutto al plurale, significa anche ‘arguzia, intelligenza’. Anche in italiano questo fenomeno ci è familiare: si pensi al detto avere poco sale nella zucca, che infatti vuol dire ‘mancare di intelligenza’. Un esempio più illustre ci viene dal Vangelo di Matteo: Vos estis sal terrae ‘voi siete il sale della terra’ (Mt 5.13).
Abbiamo già detto che il verbo sapio significa prima di tutto ‘avere sapore’. Deriva dalla radice protoindoeuropea *seh1p- ‘percepire (attraverso il gusto)’. Analizziamo la sua struttura: di regola, le radici ricostruite per il protoindoeuropeo sono formate da almeno tre fonemi (suoni che servono a costituire le parole di una lingua) secondo lo schema minimo “CVC”, consonante – vocale – consonante. Nel caso di *seh1p- questa struttura è realizzata con due consonanti finali, una delle quali, *h1, merita la nostra attenzione. Questo fonema è chiamato dagli indoeuropeisti laringale ed è uno degli argomenti più entusiasmanti della glottologia indoeuropea. Il numero in pedice serve a distinguere i tre fonemi laringali che si possono ricostruire per il protoindoeuropeo e che per convenzione vengono scritti come *h1, *h2 e *h3. Avremo modo di parlarne spesso, e impareremo a distinguerne i diversi esiti nelle lingue storicamente attestate. Non sappiamo molto sulla realtà fonetica delle laringali, cioè su come venissero effettivamente pronunciate. Un’ipotesi è che *h1, con cui abbiamo a che fare in *seh1p-, fosse una consonante fricativa glottidale (la h di inglese horn, o la cosiddetta gorgia toscana, la famosa c aspirata della hohahola holla hanuccia horta horta) e *h2 e *h3 fossero delle consonanti fricative uvulari (la r del portoghese), sorda e sonora rispettivamente, ma varie altre ipotesi sono state avanzate. Ma perché sappiamo così poco sulle laringali, se le ricostruiamo per il protoindoeuropeo?
Il motivo è che le laringali sono ricostruite non tanto sulla base di fonemi attestati nelle lingue storiche, bensì inseguendo una serie di indizi, varie stranezze sparse qua e là nella grammatica delle lingue indoeuropee, in particolare nella flessione dei verbi. Fu il grande linguista ginevrino Ferdinand de Saussure (1857-1913) il primo ad accorgersi, alla veneranda età di vent’anni, che alcune di queste asimmetrie svanivano d’un colpo introducendo nel sistema fonetico del protoindoeuropeo questi tre fonemi. Una teoria molto audace, a lungo giudicata solo un’ingegnosa speculazione algebrica — come spesso accade alle scoperte della glottologia indoeuropea —, che però trovò una conferma clamorosa nel 1927, quando fu dimostrato che la lingua ittita (gli Ittiti erano un popolo indoeuropeo stanziato in Anatolia, l’odierna Turchia, nel II millennio a.C.) conservava ancora come veri e propri segmenti consonantici ben due delle laringali teorizzate, *h2 e *h3: sono sopravvissute nel fonema che, nella traslitterazione delle tavolette cuneiformi ittite, scriviamo come ḫ.
Ma torniamo a sapio: come si arriva alla sua vocale a, se abbiamo detto che la radice di partenza suonava *seh1p-, con vocale *e? La ragione è il fenomeno che in termini tecnici chiamiamo apofonia, e che avremo modo di scoprire presto. Per ora ci basti sapere che certi nomi e certi verbi nelle lingue indoeuropee antiche si formano dalla radice senza vocale *e (il cosiddetto grado zero): nel nostro caso *sh1p- (anziché *seh1p-). Quando le laringali vengono a trovarsi nella posizione della vocale, in latino danno tutte e tre esito a (quindi *sh1p- > sap-).
Dunque, la parola sapiente, a tutti così familiare, non solo racchiude una semantica non comune, ma la sua banalissima vocale a ha una storia antichissima, che ci riporta al cuore della ricostruzione del protoindoeuropeo. Oltre al sale, il pepe.