SignificatoSomigliante; ciascuno dei parenti del coniuge rispetto a quelli dell’altro
Etimologia voce dotta recuperata dal latino adfinis ‘limitrofo’, derivato di finis ‘limite’, col prefisso ad-.
La qualità dell’affine evoca subito una somiglianza. Sembra che lo faccia in maniera semplice, ma al solito ci possiamo leggere dentro una sfumatura unica e peculiare, che desta meraviglia. Basta un primo rilievo per accorgersene: due storie affini non sono direttamente simili; due discorsi affini non sono formalmente analoghi; due spiriti affini non sono strettamente conformi. L’affine ci dice qualcosa di differente.
Se guardiamo il suo pedigree, vediamo che l’affine è fratello del confine. Anzi, l’affinis latino è innanzitutto il limitrofo, come è anche il confinis: dopotutto il nucleo di significato condiviso dai due è finis, il limite. Queste parole vengono entrambe recuperate dal latino nelle prime ore della lingua italiana, e mostrano subito caratterizzazioni e pieghe di significato molto diverse — anche nei loro punti semanticamente prossimi.
Il confine (sostantivo e aggettivo) si concentra in italiano su una condivisione del limite, e perciò su una demarcazione fra un di là e un di qua. Questo nel nostro uso comune è evidente: anche se diciamo che due questioni sono confini (o confinanti, più correntemente) intendendo che sono vicine, ribadiamo una traccia di separazione. Dialogo e frontiera.
Il prefisso a(d)-, invece, ha spesso tratti più lievi, scontornati — e questo è valorizzato nell’affine. Il suo baricentro resta una linea di demarcazione, un confine quale è il finis, ma non è ciò su cui il suo significato si concentra. Ci racconta il modo in cui una realtà prossima a un confine sia simile a quella che si trova di là. Per dirlo in maniera più compiuta: l’affine è la qualità della vicinanza fra ciò che sta al di qua e al di là di un discrimine. Certo è una somiglianza, un’analogia, una conformità — ma la differenza si fa concreta.
Se trovo nella tua passione per il tè una passione affine alla mia, significa che possiamo sederci io al di qua e tu al di là dell’abisso che separa le nostre storie e i nostri due ‘io’ distinti, e parlare con piacere di Yunnan e Darjeeling — anche se poi le regioni dei nostri ‘io’, negli altrove che non siano quell’affinità, si spingono in direzioni radicalmente diverse. Se due persone convengono di aver fatto due discorsi affini, convengono di aver seguito vie affiancate, anche se le conclusioni e gli intenti le stanno per riportare lontane l’una dall’altra. Due storie affini, in un certo loro tratto, potrebbero essere raccontate senza che sia chiara la loro distinzione — così come se il cartello barrato non c’informasse che siamo usciti dalla regione non ce ne accorgeremmo, non vedendo un mutamento nella progressione dei larici e degli abeti del panorama.
Allo stesso modo, i nostri affini sono tecnicamente i parenti del coniuge: la suocera, il cognato, l’albero ramoso delle tue zie, dei cugini tuoi. Prossimi praticamente quanto i nostri, appena separati in un di là, in un lato tuo, vestigio di non consanguineità, tracciato in un’unione che resta bicipite.
C’è somiglianza, analogia, conformità; ma l’affine non insegue col calibro la similitudine delle forme. Ne insegue la continuità, saltando e seguendo i confini come si fa coi fossi e i muretti in campagna.
La qualità dell’affine evoca subito una somiglianza. Sembra che lo faccia in maniera semplice, ma al solito ci possiamo leggere dentro una sfumatura unica e peculiare, che desta meraviglia. Basta un primo rilievo per accorgersene: due storie affini non sono direttamente simili; due discorsi affini non sono formalmente analoghi; due spiriti affini non sono strettamente conformi. L’affine ci dice qualcosa di differente.
Se guardiamo il suo pedigree, vediamo che l’affine è fratello del confine. Anzi, l’affinis latino è innanzitutto il limitrofo, come è anche il confinis: dopotutto il nucleo di significato condiviso dai due è finis, il limite. Queste parole vengono entrambe recuperate dal latino nelle prime ore della lingua italiana, e mostrano subito caratterizzazioni e pieghe di significato molto diverse — anche nei loro punti semanticamente prossimi.
Il confine (sostantivo e aggettivo) si concentra in italiano su una condivisione del limite, e perciò su una demarcazione fra un di là e un di qua. Questo nel nostro uso comune è evidente: anche se diciamo che due questioni sono confini (o confinanti, più correntemente) intendendo che sono vicine, ribadiamo una traccia di separazione. Dialogo e frontiera.
Il prefisso a(d)-, invece, ha spesso tratti più lievi, scontornati — e questo è valorizzato nell’affine. Il suo baricentro resta una linea di demarcazione, un confine quale è il finis, ma non è ciò su cui il suo significato si concentra. Ci racconta il modo in cui una realtà prossima a un confine sia simile a quella che si trova di là. Per dirlo in maniera più compiuta: l’affine è la qualità della vicinanza fra ciò che sta al di qua e al di là di un discrimine. Certo è una somiglianza, un’analogia, una conformità — ma la differenza si fa concreta.
Se trovo nella tua passione per il tè una passione affine alla mia, significa che possiamo sederci io al di qua e tu al di là dell’abisso che separa le nostre storie e i nostri due ‘io’ distinti, e parlare con piacere di Yunnan e Darjeeling — anche se poi le regioni dei nostri ‘io’, negli altrove che non siano quell’affinità, si spingono in direzioni radicalmente diverse. Se due persone convengono di aver fatto due discorsi affini, convengono di aver seguito vie affiancate, anche se le conclusioni e gli intenti le stanno per riportare lontane l’una dall’altra. Due storie affini, in un certo loro tratto, potrebbero essere raccontate senza che sia chiara la loro distinzione — così come se il cartello barrato non c’informasse che siamo usciti dalla regione non ce ne accorgeremmo, non vedendo un mutamento nella progressione dei larici e degli abeti del panorama.
Allo stesso modo, i nostri affini sono tecnicamente i parenti del coniuge: la suocera, il cognato, l’albero ramoso delle tue zie, dei cugini tuoi. Prossimi praticamente quanto i nostri, appena separati in un di là, in un lato tuo, vestigio di non consanguineità, tracciato in un’unione che resta bicipite.
C’è somiglianza, analogia, conformità; ma l’affine non insegue col calibro la similitudine delle forme. Ne insegue la continuità, saltando e seguendo i confini come si fa coi fossi e i muretti in campagna.