Agorà

a-go-rà

Significato Nelle città della Grecia antica, piazza del mercato e delle assemblee; assemblea dei cittadini; luogo d’incontro particolarmente vivace per una comunità dal punto di vista culturale e politico

Etimologia voce dotta recuperata dal greco agorá, da agéiro ‘io aduno’.

È facile notare come l’uso di alcune parole, con le loro immagini, le loro atmosfere, le loro suggestioni, sfidi la succosità di un riferimento strizzandola allo stremo. In quanti rimandi all’agorà ci capita di incappare?

L’agorà ha un pregio duplice. Da un lato ha tutta l’autorevolezza propria dei grecismi, un contatto diretto con una porzione vitale dell’esperienza culturale greca, politica e sociale. Dall’altro è un riferimento facile. Non richiede di padroneggiare analiticamente un retroterra storico, nozioni filosofiche — anche perché il significato in sé pare elementare, ed elementari le equazioni che si porta dietro.

È la piazza delle polis greche, delle città. Ora, per noi l’esistenza delle piazze è un dato di fatto su cui non ci interroghiamo molto, ma si tratta di un’autentica invenzione urbanistica che prese piede a mano a mano, plasmando e venendo plasmata dalle trasformazioni del potere. La prima equazione fondamentale è che agorà significa democrazia. In Italia sappiamo per lunga intrecciata tradizione quanto l’esercizio dell’organizzazione democratica, specie nelle sue forme primitive, riposi sull’esistenza di spazi pubblici adeguati: agorà, fori, arengari sono manifestazioni differenti di una necessità democratica permanente — la partecipazione.

L’agorà greca è un centro fondamentale di potere, e lo capiamo linearmente dall’etimologia: deriva da agéiro ‘io aduno’. Quindi è più precisamente il luogo delle adunanze, e l’adunanza stessa. Abbiamo testimonianze di agorà più arcaiche e modeste, abbiamo testimonianze di agorà più avanzate e maestose — ad esempio prendiamo quella di Atene, delimitata dai portici della Stoà. Lì i cittadini avevano lo spazio per svolgere praticamente tutta la vita pubblica: il verbo agorazo significa ‘frequento la piazza’, con sfumature che vanno dal ciondolare sentendo un po’ che si dice in giro, al mercanteggiare, al comprare, all’arringare, all’occuparsi della cosa pubblica.

Per la caterva di gente che, a partire dalla riscoperta umanista, per secoli ha studiato e abitato l’esperienza greca antica (specie ateniese) come esperienza primaria e decisiva della cultura occidentale, l’agorà ha maturato un carisma unico. Confronto culturale vivace, formicolante democrazia in atto, scambi, orizzonti, cosmopolitismo, gente, idee, filosofia, confronto, scontro, comunità.
Be’, non proprio tutta la comunità, diciamo che serviva un po’ di selezione — per stare sull’Atene del V secolo a.C., alla vita pubblica potevano partecipare in qualità di cittadini soltanto i maschi adulti liberi che avessero compiuto il servizio militare, nati da genitori con la cittadinanza, e senza debiti pendenti con la polis. Il che riduceva la platea a circa un sesto, un settimo della popolazione totale della città — ma questo, nella cottura del carisma dell’agorà, pare sia stato poco rilevante.

Oggi l’amministrazione comunale può tentare di ridare forma e indirizzo a una piazza trascurata in modo che sia un’agorà per la cittadinanza, istanze che provengono dall’agorà riescono ad avere un peso politico sensibile, e il festival, con ospiti d’eccezione a cui non dà solo spazi cattedratici, ambisce all’apertura di un’agorà.

È un termine attraente perché evoca una piazza-comunità in cui le persone adunate possono maturare consapevolezze e prendere decisioni. C’è solo un monito: se tutto diventa agorà, alla fine il significato ideale dell’agorà si opacizza, si annebbia. Come per tante parole belle e importanti, per non sciuparsi l’agorà ha bisogno di proprietà.

Un’ultima nota su un altro riferimento all’agorà, piuttosto celebre e piuttosto poco compreso: l’agorafobia. Una volta tanto (‘-fobia’ è un elemento greco molto amato e usato con larghezza disinvolta) è un termine della psicologia e una ‘fobia’ propriamente detta: di solito il concetto si semplifica come ‘paura degli spazi aperti’, in contrapposizione alla claustrofobia, ‘paura degli spazi chiusi’. La ‘piazza’ sarebbe grecamente presa come simbolo di un luogo aperto — ma la realtà clinica è più sfumata e complessa. È un’ansia che si attaglia a situazioni pubbliche, da cui allontanarsi possa essere difficile o imbarazzante, da cui si pensa possa essere difficile scappare in caso di bisogno o in cui possa essere difficile ricevere aiuto. Luoghi affollati e mezzi pubblici, feste, code, concerti, cinema sono per esempio situazioni problematiche — in realtà non così contrapposte, anzi piuttosto contigue a quelle della claustrofobia.

Parola pubblicata il 26 Novembre 2023