Atrio

à-trio

Significato Vestibolo della casa romana; locale d’ingresso; in anatomia, camera che precede un’altra cavità in una direttrice di flusso; in geologia, zona intermedia fra due coni vulcanici concentrici

Etimologia dal latino atrium, di etimologia discussa, ma probabilmente da ater ‘nero, oscuro’.

Architettura, anatomia, geologia ricorrono in maniera più o meno popolare a questo termine. È un termine molto antico, e se proviamo ad ascoltarlo («atrio») non è difficile riconoscerci dentro un altro termine abbastanza aulico, che però trovare qui, col suo significato, ci sorprende: atro, cioè oscuro, nero.

Strana somiglianza: l’atrio ce lo immaginiamo come un luogo spazioso, luminoso, accogliente, anche ornato — tipico di luoghi pubblici, religiosi, di rappresentanza. L’atrio della banca è vasto, con ampie vetrate e pavimenti lucidi, e banani e monstere in vaso ad ogni angolo; l’atrio dell’albergo ha un arredamento di design, larghi spazi colonnati, luci studiate, con opere d’arte in vista; e l’immenso atrio del palazzo di giustizia è ricco di stucchi, statue, scaloni. Niente di oscuro all’orizzonte. E l’atrio della domus romana, la casa urbana della gente ricca, era la stanza più fastosa della casa — in effetti ne era proprio il cuore. Infatti l’atrium era lo spazio centrale intorno a cui si sviluppavano tutti gli altri spazi — le altre stanze davano sull’atrium, che al centro sul soffitto aveva un’apertura.

Ora, sull’origine di questo nome avevano già iniziato a discutere in antichità: c’era chi gli attribuiva un’origine etrusca (e sappiamo che non di rado avanzare questa origine significa buttarla in tribuna: anche per noi ricostruire con solidità un’origine etrusca è un salto nel buio), ma c’era chi lo legava proprio ad ater, ‘nero’ — una ricostruzione che ancora oggi, senza grandi certezze, è il meglio che abbiamo. Resta da capire il nesso, però.

Nell’atrium delle splendide case romane che ancora possiamo ammirare è particolarmente vistoso l’elemento dell’impluvium, la vasca centrale, sottostante al compluvium, l’apertura sul tetto che raccoglieva e convogliava l’acqua piovana. Ma nel concetto arcaico la stanza centrale aperta serve per un elemento fondamentale: il focolare. Ecco, una conseguenza normale del fuoco di legna libero e perennemente acceso in una stanza è la fuliggine, che finisce per depositarsi sulle pareti, annerendole in modo ineluttabile. Sarebbe questo l’ater che dà origine all’atrium. L’ascendenza indoeuropea qui è ricostruita in maniera più dibattuta, perché abbiamo in ipotesi una radice ater- che indica il fuoco e una radice hert-r- che indica il focolare — e la più simile è più lontana nel significato.

Ad ogni modo, la centralità di questa stanza primitiva nera di fuliggine e poi fulcro della presentazione sfarzosa di una casa è rimasta. È rimasto in particolare il suo essere luogo di accesso, e passante — perché era la prima vera stanza, e quella da cui si accedeva a tutte le altre con le loro specializzazioni, senza contare che, in ambienti posteriori e non ricchi ma ricchissimi, all’atrio seguiva il peristilio, questo un vero e proprio giardino interno circondato da un colonnato (da notare che è un termine greco: questo secondo fulcro della casa è un segno delle mollezze ellenizzanti che investirono Roma).

Perciò la figura architettonica dell’atrio si attaglia anche a discipline diverse: quando un cono vulcanico rifiorisce all’interno di un vecchio cratere, la zona intermedia fra i due coni concentrici, fra il cratere vecchio e il nuovo, è detta atrio — quasi fosse una sala d’ingresso. In anatomia gli atrii più celebri, e che i fanno capire bene come è còlto il concetto generale, sono quelli del cuore, ossia le due camere superiori che ricevono una il sangue venoso l’altra arterioso, e che lo spingono nelle camere inferiori, i rispettivi ventricoli. Insomma, cavità che ne precedono altre in una direttrice di flusso — quali a ben vedere sono anche gli atrii dei nostri più magnifici edifici.

Perso il nero della fuliggine, rimane l’accoglienza di un focolare centrale, di un cuore da cui molto altro si dipana.

Parola pubblicata il 29 Febbraio 2024