Immenso
Scorci letterari
im-mèn-so
Significato Sconfinato, smisurato, enorme
Etimologia voce dotta, dal latino immensus, propriamente ‘che non può essere misurato’, composta in- negativo e mensus, participio passato di metiri ‘misurare’.
Parola pubblicata il 20 Marzo 2017
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
Il suono ampio e sospeso di questa parola dà un’intensità straordinaria al suo già forte significato.
La qualità che descrive suscita lo stupore di ciò che non può essere dominato immediatamente con la ragione - in concreto, che non può essere misurato. Se la sua vocazione prima è quella di riferirsi a una grandezza spaziale, facilmente può essere riferito anche al tempo e a una quantità, e non solo: l’immenso acquista anche il profilo dell’eccezionalmente intenso. E in ogni senso, e con una certa grazia, si presta bene all’iperbole.
Sono immense le steppe asiatiche, immensa la distesa equorea dell’oceano, immenso il salone del castello di cui non sapresti nemmeno contare i camini. È immenso il numero di persone accorse al concerto, immensa la forza di certi atleti che partecipano ai Giochi delle Highlands, immenso l’amore che provi. L’immenso può anche farsi sostantivo, diventando la vastità incommensurabile, l’infinità.
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(G. Ungaretti, Mattina)
M’illumino
d’immenso
Sembra una poesiola da niente, eppure è tanto potente da essere diventata proverbiale. Quale sarà il suo segreto?
Beh, intanto osserviamoli bene, quei due versi: sono perfettamente simmetrici.
Sono entrambi trisillabi (in realtà il primo è fatto da quattro sillabe ma, siccome l’accento è sulla terzultima, le ultime due contano metricamente per una). Se poi li metti assieme fanno un settenario, uno dei versi più musicali della poesia italiana.
Inoltre cominciano entrambi con un’elisione (m’; d’), seguita da una I e una doppia consonante; e finiscono entrambi per O.
Sono legati anche dall’allitterazione di M, N e L, che amplifica il senso di vastità già insito nella parola “immenso” (come nel verso di Dante: “Ma Misi Me per l’alto Mare aperto”).
Ora vogliamo contare le figure retoriche? La prima è, ovviamente, la sinestesia (il piano sensoriale si sovrappone qui a quello astratto). E poi l’analogia, l’iperbole e persino l’antitesi. Il primo verso, infatti, riguarda il finito (l’uomo), mentre il secondo riguarda l’infinito (anche in senso metafisico). Ungaretti quindi accosta due dimensioni lontanissime, e il ponte tra le due è la luce (che si fonde, anche grammaticalmente, con l’io lirico).
Insomma, questa poesiola nasconde un incredibile lavoro di cesello. Inoltre la brevità conferisce ad ogni parola un’estrema densità semantica, com’è tipico di Ungaretti.
L’autore riesce così a raccontare quell’esperienza avvenuta una mattina, al fronte, e che può ripetersi in ognuna delle nostre giornate. Quando alziamo lo sguardo e il calore del sole ci scroscia nel cuore (per citare Montale). Quando per un istante la vastità dell’universo ci sovrasta, e percepiamo un senso profondo, una pienezza che sembra dilatare il nostro cuore all’infinito.
Dante chiamava quest’esperienza “transumanare” (andare al di là dell’umano); Leopardi la definiva un “dolce naufragio”; Montale preferiva l’espressione “infinitarsi”. Forme diverse del comune miracolo della poesia: esprimere a parole un’esperienza che è al di là delle parole.