Bue
bu-e
Significato In senso stretto, maschio castrato della specie [bos taurus], della famiglia dei bovini; designa anche, più impropriamente, la specie nel suo complesso
Etimologia dal latino bos, di origine indoeuropea, che in origine indicava sia il maschio castrato sia la femmina.
Parola pubblicata il 25 Aprile 2022
Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti
Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.
È quasi imbarazzante la quantità di vocaboli di cui disponiamo per i bovini. Li distinguiamo per sesso, età (il manzo è più vecchio del vitello ma più giovane del bue) e stato civile: se un maschio è votato al celibato è un bue, in caso contrario è un toro; una madre di famiglia è una vacca, una fanciulla che non ha mai partorito è una giovenca.
“Mucca” è un soprannome forse modellato sul suono “mu”, da cui per inciso provengono anche “muto” e “motto”. Il mutismo infatti implica l’incapacità di esprimersi se non per suoni inarticolati, e “motto” indicava appunto uno di questi suoni, benché le piroette della lingua l’abbiano poi portato a significare “parola” (come nel francese mot) e quindi “battuta”.
Curiosamente però ci manca un nome complessivo per la specie, per cui dobbiamo rassegnarci a parlare di bovini o buoi domestici, anche se uno è un termine troppo generico e l’altro troppo specifico. In questo senso possiamo dire che i buoi si annidano dovunque, a partire dai modi di dire: mettere il carro davanti ai buoi, tagliare la testa al toro, andare in vacca… Quest’ultimo in particolare nasce da una metafora dei produttori di seta: se i bachi, ammalandosi, si gonfiavano come vacche, la rovina era segnata.
Ma lo zampino bovino c’è anche in parole insospettabili. Settentrione viene da septem triones, ossia sette buoi da lavoro, giacché a nord brillano le sette stelle del Piccolo Carro. Oxford significa “guado dei buoi”, mentre Bosforo e mar Ionio prendono il nome, secondo il mito, dalle peregrinazioni di Io, che fu tramutata in mucca (bos) da Zeus e poi perseguitata da un tafano inviato da Era.
L’Italia stessa, secondo un’antica teoria, deriverebbe dal latino vitulus (vitello), forse per i suoi fiorenti allevamenti o per il diffuso culto d’un dio bovino. Più contrastata, ma comunque possibile, è l’ipotesi che tori e buoi abbiano dato il nome alle tribù celtiche dei Taurini e dei Boii, e quindi alle città da loro fondate: Torino e Bologna.
Purtroppo ai bovini sono legate anche parole inquietanti, come ecatombe (il sacrificio di cento buoi), bulimia (“fame da bue”) e boia (da boeiai, i legacci di cuoio bovino). Rientra in questo gruppo “bulldozer”, nata in America nel 1876 per definire i più violenti sostenitori del democratico Tilden, che usavano dispensare frustate in “dosi da toro” (bull dose). La parola diventò quindi un sinonimo di “prepotente” e infine il nome d’un implacabile veicolo apriprista.
Ben più affascinante, tuttavia, è il fatto che la prima lettera dell’alfabeto ricalchi la forma di una testa bovina: perciò era detta aleph, “bue” in fenicio. E spesso i bovini hanno offerto anche il supporto materiale della scrittura, ossia la pergamena. Un tipo particolarmente pregiato era detto papier vélin, “carta di vitello” in francese; poi “velina” si è esteso a definire un qualunque foglietto dattiloscritto, e quindi le vallette che consegnavano agli annunciatori televisivi le notizie da divulgare.
Non solo: il primissimo esempio di italiano scritto (o meglio di latino italianizzato) è l’indovinello veronese, che paragona la scrittura all’aratura d’un campo per mezzo di buoi. Del resto il menabò, che in gergo tipografico è il modello di partenza per l’impaginazione di un libro o rivista, significa proprio “conduci (mena) i buoi (bò)”. Insomma, che si parli di luoghi reali o di avventure libresche, all’origine dei nostri viaggi c’è sempre un bue.