Bue

Parole bestiali

bu-e

Significato In senso stretto, maschio castrato della specie [bos taurus], della famiglia dei bovini; designa anche, più impropriamente, la specie nel suo complesso

Etimologia dal latino bos, di origine indoeuropea, che in origine indicava sia il maschio castrato sia la femmina.

  • «Perbacco. Credevo di aver fatto da mangiare in abbondanza per tutti, ma lui mangia come un bue.»

È quasi imbarazzante la quantità di vocaboli di cui disponiamo per i bovini. Li distinguiamo per sesso, età (il manzo è più vecchio del vitello ma più giovane del bue) e stato civile: se un maschio è votato al celibato è un bue, in caso contrario è un toro; una madre di famiglia è una vacca, una fanciulla che non ha mai partorito è una giovenca.

“Mucca” è un soprannome forse modellato sul suono “mu”, da cui per inciso provengono anche “muto” e “motto”. Il mutismo infatti implica l’incapacità di esprimersi se non per suoni inarticolati, e “motto” indicava appunto uno di questi suoni, benché le piroette della lingua l’abbiano poi portato a significare “parola” (come nel francese mot) e quindi “battuta”.

Curiosamente però ci manca un nome complessivo per la specie, per cui dobbiamo rassegnarci a parlare di bovini o buoi domestici, anche se uno è un termine troppo generico e l’altro troppo specifico. In questo senso possiamo dire che i buoi si annidano dovunque, a partire dai modi di dire: mettere il carro davanti ai buoi, tagliare la testa al toro, andare in vacca… Quest’ultimo in particolare nasce da una metafora dei produttori di seta: se i bachi, ammalandosi, si gonfiavano come vacche, la rovina era segnata.

Ma lo zampino bovino c’è anche in parole insospettabili. Settentrione viene da septem triones, ossia sette buoi da lavoro, giacché a nord brillano le sette stelle del Piccolo Carro. Oxford significa “guado dei buoi”, mentre Bosforo e mar Ionio prendono il nome, secondo il mito, dalle peregrinazioni di Io, che fu tramutata in mucca (bos) da Zeus e poi perseguitata da un tafano inviato da Era.

L’Italia stessa, secondo un’antica teoria, deriverebbe dal latino vitulus (vitello), forse per i suoi fiorenti allevamenti o per il diffuso culto d’un dio bovino. Più contrastata, ma comunque possibile, è l’ipotesi che tori e buoi abbiano dato il nome alle tribù celtiche dei Taurini e dei Boii, e quindi alle città da loro fondate: Torino e Bologna.

Purtroppo ai bovini sono legate anche parole inquietanti, come ecatombe (il sacrificio di cento buoi), bulimia (“fame da bue”) e boia (da boeiai, i legacci di cuoio bovino). Rientra in questo gruppo “bulldozer”, nata in America nel 1876 per definire i più violenti sostenitori del democratico Tilden, che usavano dispensare frustate in “dosi da toro” (bull dose). La parola diventò quindi un sinonimo di “prepotente” e infine il nome d’un implacabile veicolo apriprista.

Ben più affascinante, tuttavia, è il fatto che la prima lettera dell’alfabeto ricalchi la forma di una testa bovina: perciò era detta aleph, “bue” in fenicio. E spesso i bovini hanno offerto anche il supporto materiale della scrittura, ossia la pergamena. Un tipo particolarmente pregiato era detto papier vélin, “carta di vitello” in francese; poi “velina” si è esteso a definire un qualunque foglietto dattiloscritto, e quindi le vallette che consegnavano agli annunciatori televisivi le notizie da divulgare.

Non solo: il primissimo esempio di italiano scritto (o meglio di latino italianizzato) è l’indovinello veronese, che paragona la scrittura all’aratura d’un campo per mezzo di buoi. Del resto il menabò, che in gergo tipografico è il modello di partenza per l’impaginazione di un libro o rivista, significa proprio “conduci (mena) i buoi (bò)”. Insomma, che si parli di luoghi reali o di avventure libresche, all’origine dei nostri viaggi c’è sempre un bue.

Parola pubblicata il 25 Aprile 2022

Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti

Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.