Diorama
di-o-rà-ma
Significato Nell’Ottocento, forma di spettacolo che rendeva prospettive variabili di scorci e paesaggi con serie di teli dipinti, grazie a giochi di luce, riflessi e trasparenze; ricostruzione in scala ridotta di un ambiente
Etimologia composto del greco diá ‘attraverso’ e hórama ‘vista’, da horân ‘vedere’, su modello di ‘panorama’.
Parola pubblicata il 01 Luglio 2025
Dicevamo di come il panorama sia tutt’altro che naturale — spettacolo inventato a fine Settecento dal pittore Robert Barker. Il diorama si colloca nel medesimo filone, con qualche differenza. Dopotutto già il nome, composto dal greco dià, ‘attraverso’, e hórama, ‘vista’, è modellato su ‘panorama’.
L’idea è sempre quella di rendere una prospettiva realistica di paesaggi e scorci; ma a differenza del panorama, che era un genere di spettacolo immersivo, l’apparecchio del diorama rendeva questa prospettiva con una serie di teli dipinti (spesso dal vero con l’ausilio di camere oscure), posti a una certa distanza uno dietro l’altro.
Giochi di riflessi e trasparenze, diretti da un’illuminazione variabile, facevano mutare lo scorcio davanti a chi lo guardava. Ad esempio si poteva ammirare la veduta diurna di un meraviglioso cortile claustrale, colorato e popolato di figure affaccendate — che però poi si trasformava in una veduta notturna: certi elementi si spostavano, i personaggi cambiavano. Oppure si poteva godere del dipinto di uno splendido paesaggio vesuviano, con viandanti e battute di caccia… subito prima che il vulcano iniziasse ad eruttare. Un grande gioco d’illusione, insomma.
Peraltro uno dei più grandi maestri nell’arte primo-ottocentesca del diorama fu fra gli altri Daguerre, inventore del processo fotografico noto come dagherròtipo.
Ma mentre il panorama ha avuto una fortuna spaventosa e trascendente — un’arte che ha finito per essere imitata dalla natura col panorama di cui facciamo solitamente esperienza —, il diorama si è un po’ minimizzato. È diventato la rappresentazione in scala ridotta di un ambiente, più descrittiva che spettacolare: quanti se ne vedono nei musei, specie in quelli un po’ più rétro! Di quelli che, in piena correttezza scientifica, rendono habitat diversi, abitati da una fauna impagliata, o ricostruzioni storiche di luoghi e situazioni. E certo mostra qualche (giusta) pretesa in più rispetto al mero plastico, che può essere un semplice modellino. Anche se didattico, un vestigio di spettacolo nel diorama resta.
C’è stato un periodo, nel Novecento, in cui il nome del diorama è stato usato in metafora, in maniera analoga a quel che facciamo col panorama, come veduta d’insieme, quadro complessivo di una situazione — il diorama artistico di un periodo, il diorama delle cause di un fenomeno e via dicendo. Questo uso non ha avuto successo. Oggi un uso metaforico del diorama dovrebbe imperniarsi sul suo essere rappresentazione statica, didascalica, scenografica e magari edificante. Potremmo parlare del diorama idilliaco che ci viene dato di un posto di lavoro, del diorama delle conseguenze delle nostre azioni che la mamma non manca mai di tratteggiare a tinte forti, del diorama del viaggio che ci viene reso puntualmente dall’amica giramondo. Una bella differenza, rispetto al panorama — ancor più bella se pensiamo alla complicità concettuale di queste illusioni coeve.