Idealismo

i-de-a-lì-smo

Significato Filosofia che trova nelle idee modello, fondamento ed essenza della realtà; corrente filosofica tedesca della prima metà del XIX secolo secondo cui tutta la realtà si spiega come processo di autocoscienza di uno spirito assoluto trascendente; attitudine a credere in alti ideali e a vivere in base a essi

Etimologia da ideale, voce dotta recuperata dal latino tardo idealis, da idea, prestito dal greco idéa, da idêin ‘vedere’.

Essere definiti ‘idealisti’ è un complimento? Dipende: posso chiamare così chi persegue nobili principî – un medico che cura gratuitamente i poveri, un docente che perde il posto pur di non giurare fedeltà a una dittatura – ma anche chi manca di senso della realtà, gli illusi. L’ambiguità è intrinseca al termine, perché ciò che è ideale (un marito, un governo, un viaggio) è sì perfetto, privo di difetti, ma anche astratto, immaginario, fatto di idee: parola filosoficamente pesantissima, che richiama subito alla mente la ‘dottrina delle idee’ di Platone, secondo cui queste essenze immutabili e perfette sono i modelli delle cose e pertanto, ontologicamente, più reali di esse. Anche il platonismo può quindi definirsi ‘idealismo’, ma il senso prevalente del termine ci porta in altri tempi e luoghi, e precisamente all’Europa tra XVIII e XIX secolo. Ripartiamo da Kant.

Stretto nella morsa di empirismo e razionalismo – il primo dei quali approdato con Hume allo scetticismo e con Berkeley addirittura all’immaterialismo, per cui esistono solo idee e non corpi, mentre il secondo assegnava alla ragione umana un’onnipotenza conoscitiva anche al di là dell’esperienza sensibile – Kant assunse una posizione mediana che definì idealismo trascendentale o formale, contrapponendolo a quello materiale di Berkeley: ad essere ideale – ossia non oggettiva, non esistente al di fuori del soggetto – non era tutta la realtà, ma solo le «forme a priori» (spazio, tempo, categorie) che rendono possibile la conoscenza. Il noumeno, la cosa in sé, permaneva ben solido quale indispensabile – ancorché inattingibile – fonte della conoscenza umana.

Kant per primo era conscio di quanto insoddisfacente fosse un tale compromesso, che condannava gli umani a poter conoscere tutto tranne l’essenziale. Nell’ambito dell’etica, infatti, cambiava tutto, e ciò che era negato in campo epistemologico – la conoscenza diretta, noumenica – diventava non solo ammissibile ma necessario. Per Kant, l’umano ha una duplice natura: in quanto essere materiale, è sottomesso alle leggi meccaniche della causalità; in quanto essere morale, invece, è legislatore assoluto e libero: senza libertà infatti non potrei aderire volontariamente alla legge morale, che dice «devi perché devi» (ma se non potessi, il dovere non avrebbe senso).

Alla fine del Settecento però si affacciava una nuova sensibilità – quella romantica – insofferente ad ogni dualismo, limitazione e scissione, affamata di Infinito e Assoluto, che disdegnava questa libertà condizionata kantiana. I principali pensatori dell’idealismo tedesco – Fichte, Schelling e Hegel – non potevano accontentarsi dell’idealismo trascendentale, nel quale il soggetto determina solo la forma della conoscenza mentre i contenuti gli arrivano dall’esterno. Per Fichte, l’Io è slancio infinito che ha per scopo la libertà, la cui indole è di trascendere ogni limite e contrapposizione: tra natura e spirito, umano e divino, finito e infinito. Perciò, il soggetto deve necessariamente produrre anche il contenuto, l’oggetto della conoscenza, il Non-Io. L’io è assoluto e la realtà è pensiero, Spirito: una volta compiuto questo passo, le successive speculazioni di Schelling e Hegel non sono che aggiustamenti, seppure importanti.

Un ritratto di Johann Gottlieb Fichte: slancio infinito dell’Io, ma senza collo (peculiarità della moda del tempo, anche i ritratti di Schelling sono così).

Schelling condivideva l’impostazione di Fichte, ma secondo lui il rapporto tra Io e Non io, Spirito e Natura, non può essere lineare e unidirezionale, giacché anche la natura è spirito quanto l’Io. Il soggetto non esiste di per sé, ponendo poi l’oggetto; Natura ed Io coincidono – «la Natura è lo Spirito visibile, lo Spirito è Natura invisibile» – e l’unione dei due è l’Assoluto. Hegel, dal canto suo, approvava questa puntualizzazione di Schelling, ma criticò ferocemente il suo porre l’Assoluto in modo immediato e astratto, come postulato, il che lo rendeva un Tutto dalle parti indistinguibili, una «notte in cui tutte le vacche sono nere», senza distinzioni e determinazioni: per Hegel, l’Assoluto è l’esito di un processo dialettico dal ritmo triadico, in cui l’Io (l’Idea) inizialmente pone sé stesso in modo astratto, poi esce fuori da sé per farsi Natura e infine torna a sé stesso arricchito dall’esperienza, diventando Spirito. Alla fine del percorso, tutte le particolarità e le contraddizioni sono risolte e conciliate nella superiore unità dell’Universale.

Nonostante l’oscurità di queste speculazioni, appare chiaro il legame tra il senso filosofico e quello comune del termine: la dimensione etica. Fichte ha esplicitato la valenza morale dell’idealismo sottolineando che l’Io non è sostanza bensì attività, lotta per trasformare la realtà secondo i suoi liberi progetti, mentre il materialismo, per cui l’oggetto è indipendente dal soggetto e lo determina, porta ad essere passivi e fiacchi. È questa preminenza dello spirito sulla materia – l’anelito all’assoluto, all’incondizionato – ad accomunare gli idealisti di ogni tempo ai pensatori tedeschi di due secoli fa. Il che non implica, ovviamente, che chi sia idealista nella vita debba esserlo anche in filosofia: Bertrand Russell, licenziato e incarcerato per le sue posizioni pacifiste durante la Prima guerra mondiale, ha scritto nella sua Storia della filosofia occidentale che Fichte «portò il soggettivismo ad un punto assai prossimo alla pazzia» e che «quasi tutte le dottrine di Hegel sono errate».

Parola pubblicata il 18 Ottobre 2022

Le parole e le cose - con Salvatore Congiu

I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.