Empirismo
Le parole e le cose
em-pi-rì-smo
Significato Indirizzo filosofico che considera l’esperienza come unica fonte di conoscenza e criterio di verità; metodo basato sulla pratica e non su criteri scientifici
Etimologia attraverso il francese empirisme, derivato da empirique ‘empirico’, dal latino empiricus, prestito dal greco empeirikós, da empeiría ‘esperienza’.
- «Questa è la ricetta della nonna: negli anni ha corretto le quantità e i procedimenti con un certo empirismo.»
Parola pubblicata il 12 Luglio 2022
Le parole e le cose - con Salvatore Congiu
I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.
III secolo a.C., Alessandria d’Egitto. Filino di Cos e Serapione di Alessandria fondano la Scuola medica empirica, che a differenza di quella tradizionale (detta dogmatica) liquida come superflua la conoscenza teorica sulle cause e la natura profonda delle malattie, ritenendo sufficiente, per curarle, basarsi sull’osservazione dei sintomi e sulle esperienze passate. Da allora, fatalmente, col progredire della scienza medica la connotazione di ‘empirico’ si è fatta vieppiù spregiativa, orbitando nel campo dell’improvvisato, dell’approssimativo, del non scientifico: roba da praticoni, incauti dilettanti se non cialtroni.
Fuori dal campo medico, però, usare metodi empirici, ossia non sistematici ma basati sulla pratica, risulta magari eterodosso ma non per forza screditato. Dopotutto, il greco empeirikós – da cui il latino empiricus e il nostro empirico – deriva da empeiría, esperienza. E chi mai potrebbe disprezzarla, l’esperienza? Si è esperti perché si è esperito (sperimentato) molto, diventando con ciò periti, provetti. Ma in filosofia – non a caso attività eminentemente teoretica – come sempre le cose sono più complesse: agli empiristi si contrappongono tradizionalmente i razionalisti, quei pensatori secenteschi come Cartesio, Spinoza e Leibniz i quali, eredi della Rivoluzione scientifica, confidavano nelle possibilità conoscitive umane, persuasi che un unico e medesimo principio razionale governi tanto il nostro mondo interiore quanto quello esterno. Tutti loro, pur con le inevitabili differenze, ritenevano che la sostanza, la vera realtà delle cose, sia conoscibile perché si rivela alla ragione, grazie anche a idee fondamentali che sono innate nella nostra mente.
Capostipite dei razionalisti è naturalmente Platone, secondo il quale gli umani hanno conoscenza della vera realtà, le idee, in quanto l’anima, prima di incarnarsi, le ha contemplate nel mondo iperuranio. Con Cartesio, però, si inaugura la concezione moderna delle idee, non più forme perfette ed eterne situate nell’iperuranio o nella mente divina ma solo contenuti mentali, quindi soggettivi – concezione che apre l’enorme problema della corrispondenza tra le nostre idee e la realtà esterna. Deciso a fondare la conoscenza su basi certe, Cartesio se la cavò imperniandola sull’evidenza dell’io a sé stesso; ma quanto all’esistenza reale dei corpi – che restava tutta da provare – non trovò niente di meglio che confidare nel fatto che Dio non potrebbe mai ingannarci a tal punto.
Il fondatore dell’empirismo moderno, però, non era interessato a stabilire certezze granitiche, tutt’altro: nato in Inghilterra nel 1632, John Locke visse in un’epoca in cui l’eccesso di certezze – la convinzione di agire in base a principî veri e giusti perché garantiti da Dio – generava fanatismo e disordini politico-religiosi. Da qui il suo atteggiamento critico, consistente nell’indagare le effettive possibilità e i limiti della conoscenza. La mente umana è per Locke una tabula rasa, priva di qualunque elemento innato o a priori; pertanto, ogni nostra conoscenza deriva dall’esperienza, sia essa esterna (sensazioni) oppure interna (riflessioni). In ogni caso, noi abbiamo a che fare esclusivamente con idee, con rappresentazioni delle cose; poi, combinando le idee semplici delle cose – uniche entità che effettivamente percepiamo – l’intelletto può creare idee complesse, tra cui quella di sostanza.
Una rappresentazione di John Locke in un ritratto di Godfrey Kneller del 1697.
La frittata è servita: la sostanza non è più quell’essenza – sostegno oggettivo degli accidenti, delle qualità – che la nostra facoltà conoscitiva è capace di cogliere perché ne condivide la natura razionale. Con Locke, la sostanza è semplicemente un’idea fabbricata dalla nostra mente, la quale assegna un nome unico (ed esempio, ‘cavallo’) ad un insieme di qualità sensibili da noi percepite (forma, dimensioni, colore ecc.). Ma cosa sia la sostanza in sé, al di là di questo insieme di idee semplici che percepiamo, noi lo ignoriamo completamente, perché non abbiamo «alcuna conoscenza della costituzione interna e della vera natura delle cose, essendo privi di facoltà atte a raggiungerla».
E quindi, la nostra conoscenza è fuffa, pura illusione? Ma no: Locke era un uomo pio e moderato, e non voleva spingersi a tanto: se le nostre idee delle qualità secondarie delle cose (colori, suoni, odori…) sono ovviamente soggettive, quelle delle qualità primarie (estensione, movimento, numero, figura) sono probabilmente corrispondenti alla realtà, e di questa modesta fiducia la persona saggia può e deve accontentarsi. Ma gli empiristi venturi furono assai più scalmanati.
Per George Berkeley (1685-1753), dato che abbiamo solo percezioni di singoli aspetti delle cose la distinzione tra qualità primarie e secondarie è insensata: tutte sono semplicemente percepite, ergo mentali, soggettive; la sostanza materiale non è solo inconoscibile: è inesistente. Niente più res extensa, materia; solo res cogitans, idee, spirito. Con David Hume (1711-1776), infine, anche, l’io, il solido cogito cartesiano, si volatilizza: se la sostanza materiale non è che una collezione di idee semplici, perché quella spirituale dovrebbe essere qualcosa di più che un flusso di percezioni, senza unità e identità stabile?
Insomma: niente sostanza, né materiale né spirituale. Assai rimarchevole, considerato che l’empirismo, in origine, si opponeva all’eccesso di teoria in nome del senso comune e dell’esperienza quotidiana.