Cura

cù-ra

Significato Interessamento attento e sollecito; riguardo, attenzione; rimedio; preoccupazione, affanno

Etimologia dal latino cura.

È relativamente facile parlare di figure retoriche astruse, di tagli di realtà bizzarri, di aggettivi squisiti. Invece parlare del semplice è difficile come trovare la radice del monte. Così certe parole che usiamo nella più piana normalità nascondono delle profondità impressionanti — ed è bello rendersene conto, perché ci dice qualcosa su come pensiamo.

Sappiamo che la lingua cambia, e al galoppo. ‘Cura’ no. È un termine eccezionalmente resistente, lo usavano tal quale ventiquattro secoli fa, ed è stato usato senza soluzione di continuità (diciamo che è stato tenuto con cura da tutti). Già agli albori aveva un’ambivalenza simile a quella che ha per noi: ‘cura’ (iniziamo a sbozzare il masso dei significati) è innanzitutto il riguardo, l’interessamento attento e sollecito, ma in un registro più elevato è anche la preoccupazione, l’affanno.

La radice indoeuropea da cui trae la linfa originale ha i significati di un prestare attenzione, di un guardare — però ci accorgiamo facilmente che ‘cura’ non è solo ‘attenzione’. Quali sono i tratti distintivi di questa inclinazione d’animo?

Il suo significato è maturato in una dimensione di temporalità: l’attenzione può essere istantanea, fatuo l’interessamento, la cura no. Fare attenzione ai fiori, interessarsi ai fiori o prendersene cura sono atti profondamente diversi. La cura segue un processo, segue un progetto che si sviluppa fra passato, presente e futuro. E possiamo distinguerne un altro tratto essenziale: l’apertura.

Aver cura significa avere a che fare. L’attenzione, anche diligente, può essere una registrazione squisitamente meccanica e chiusa, come un occuparsi. La cura invece non solo si interessa, ma partecipa. Questo si vede quando hai cura di me, ma anche quando faccio un lavoro con cura, quando sarà mia cura avvisarti — non è mero meticoloso zelo. L’aver cura può accompagnare in libertà, nel disporsi alla scelta di possibilità autentiche, e può farlo guidato dalla sensibilità propria, dalle rivelazioni dell’empatia. È un concetto senza sinonimi (forse, in una certa misura, potrebbe esserlo amore?).

Ma in pratica, che cos’è la cura? Ci si può interrogare su quale sia il suo contenuto, su che cosa faccia, in che cosa si manifesti. Su quale tipo di protezione, di coltivazione, o perfino di salvezza possa descrivere — e certi tipi canonizzati di cura, come la cura medica, ce ne danno un profilo chiaro e distinto di rimedio.

Però spesso la cura, in quanto piuttosto riguardo, riconoscimento, è più impalpabile. Promette una comunicazione, una complicità, un senso condiviso; non si esprime tanto in un’azione, quanto in un modo d’essere coinvolti, spesso tinto in affanno, preoccupazione: in ogni progetto curato c’è qualcosa che manca, di ancora incompiuto, di ancora indeciso, che può non andare — e il coinvolgimento autentico in una mancanza non lascia indifferenti.

Abbiamo cuori complessi, e li avevano anche i nostri nonni e nonne di mille e mille anni fa; e anche se siamo solo di passaggio, la densità filosofica della parola ‘cura’ ce lo testimonia nella maniera più viva.

Parola pubblicata il 19 Maggio 2021