SignificatoTardare, aspettare a dire o fare qualcosa; trattenersi, attardarsi; differire; trattenere
Etimologia dal latino indutiae ‘tregua’, attraverso l’ipotetica forma popolare indutiare.
Questa parola ci parla di tempo preso, con una varietà di sfumature che va capita perbene.
Il prendersi tempo non è sempre un esitare incagliato e imbarazzato, un tentennare negligente. Spesso è di una larghezza tranquilla, che considera attentamente, che attende con pazienza, che apre un momento di calma quasi di un altro mondo. Così indugio quando mi fanno una domanda a cui dovrei saper rispondere ma non so rispondere, prima di intervenire indugio perché non mi va di correre un rischio. Ma possiamo indugiare sui particolari del volto di chi amiamo, magari toccandoli, posso indugiare all’uscita da scuola in attesa dei compagni, posso indugiare davanti agli scaffali nella libreria o nella cioccolateria, e quando il caldo del giorno si raffresca in una lunga serata, dopo cena indugiamo a parlare con gli amici come se il domani non fosse d’interesse. Un ventaglio largo come un orizzonte. E da dove salta fuori?
La sua origine è un’immagine complessa, ed è dalla sua compelssità che sgorga quella dell’indugiare: la tregua. La tregua, lo sappiamo, è una sospensione delle ostilità, non la loro conclusione. Nella tregua si prende tempo. Può essere una tregua d’esitazione, di temporeggiamento, magari una tregua che è già quasi stretta in una sconfitta, ma se pensiamo a una tregua dall’affanno di giorni intensi sentiamo subito una pressione che diminuisce. E questo è l’indugiare: tardare e attardarsi in una tregua dalle richieste che incalzano, nello stallo e nel riposo, evocando in sintesi la galassia di situazioni che alla tregua si possono collegare.
Qualcuno si domanderà da dove venga il latino plurale indutiae, da cui l’indugiare deriva. Ebbene, l’etimo è molto discusso e non si sa con certezza - forse è collegata all’ozio, forse alla ritirata di un in-ducere, condurre al riparo. Ci basti la tregua - un riferimento già abbastanza fertile.
Ci sono poi usi letterari in cui l’indugiare si fa transitivo con significati di differire e trattenere, per cui posso indugiare l’inizio della dieta o indugiare i commensali con un racconto poco interressante: sono desueti, ma testimoniano quanto possa essere ampia e sfaccettata l’immagine della tregua, quanto sia ricca la sua suggestione, e sorprendente l’intelligenza poetica di chi nascosto dai secoli ha aperto tutti questi usi.
Questa parola ci parla di tempo preso, con una varietà di sfumature che va capita perbene.
Il prendersi tempo non è sempre un esitare incagliato e imbarazzato, un tentennare negligente. Spesso è di una larghezza tranquilla, che considera attentamente, che attende con pazienza, che apre un momento di calma quasi di un altro mondo. Così indugio quando mi fanno una domanda a cui dovrei saper rispondere ma non so rispondere, prima di intervenire indugio perché non mi va di correre un rischio. Ma possiamo indugiare sui particolari del volto di chi amiamo, magari toccandoli, posso indugiare all’uscita da scuola in attesa dei compagni, posso indugiare davanti agli scaffali nella libreria o nella cioccolateria, e quando il caldo del giorno si raffresca in una lunga serata, dopo cena indugiamo a parlare con gli amici come se il domani non fosse d’interesse. Un ventaglio largo come un orizzonte. E da dove salta fuori?
La sua origine è un’immagine complessa, ed è dalla sua compelssità che sgorga quella dell’indugiare: la tregua. La tregua, lo sappiamo, è una sospensione delle ostilità, non la loro conclusione. Nella tregua si prende tempo. Può essere una tregua d’esitazione, di temporeggiamento, magari una tregua che è già quasi stretta in una sconfitta, ma se pensiamo a una tregua dall’affanno di giorni intensi sentiamo subito una pressione che diminuisce. E questo è l’indugiare: tardare e attardarsi in una tregua dalle richieste che incalzano, nello stallo e nel riposo, evocando in sintesi la galassia di situazioni che alla tregua si possono collegare.
Qualcuno si domanderà da dove venga il latino plurale indutiae, da cui l’indugiare deriva. Ebbene, l’etimo è molto discusso e non si sa con certezza - forse è collegata all’ozio, forse alla ritirata di un in-ducere, condurre al riparo. Ci basti la tregua - un riferimento già abbastanza fertile.
Ci sono poi usi letterari in cui l’indugiare si fa transitivo con significati di differire e trattenere, per cui posso indugiare l’inizio della dieta o indugiare i commensali con un racconto poco interressante: sono desueti, ma testimoniano quanto possa essere ampia e sfaccettata l’immagine della tregua, quanto sia ricca la sua suggestione, e sorprendente l’intelligenza poetica di chi nascosto dai secoli ha aperto tutti questi usi.