Inno
ìn-no
Significato Componimento poetico accompagnato da musica, in particolare celebrativo di divinità, nazioni, ideali; celebrazione, esaltazione
Etimologia dal greco ýmnos.
Parola pubblicata il 12 Maggio 2016
L'italiano visto dagli stranieri - con Chiara Pegoraro
L'italiano è una delle lingue più studiate al mondo: come è che gli stranieri la vedono, quali sono le curiosità, le difficoltà e le sorprese che riserva a chi la sta imparando? Con Chiara Pegoraro, esperta insegnante d'italiano per stranieri, osserveremo attraverso alcune parole le questioni più problematiche e divertenti di questo tipo di apprendimento. Per gli italiani, qualcosa di nuovo e insolito sulla loro lingua madre; per le migliaia di amici stranieri che ci seguono, un simpatico aiuto.
Poche parole attraversano i millenni in maniera così solida. Inizialmente gli inni erano, nella lirica greca, componimenti poetici cantati e accompagnati da danze, dedicati a divinità o eroi - meravigliosi mezzi con cui si rinsaldavano credenze e idee condivise. In seguito, anche nel mondo latino, gli inni acquisirono un’impronta più laica, per quanto conservassero una certa solennità.
Nella nostra cultura si parla ancora di inni in ambito religioso, e l’originario tenore celebrativo è evidente anche nei casi degli inni nazionali, o degli inni di movimenti e associazioni: l’inno resta sempre il simbolo di qualcosa di superiore, volto a cementare un gruppo. Forti di un linguaggio accessibile e ricco di figure retoriche, gli inni sono facili da ricordare e incidono con forza sui sentimenti.
Da notare il simpatico uso che viene fatto di questa parola quale sinonimo di esaltazione, celebrazione tout-court, anche figurata: l’intervento del sindaco è un inno al lavoro della pubblica amministrazione, la festa opulenta è un inno allo spreco, la primavera è un inno all’ozio sui prati - o viceversa.
- Anche se io sono tedesco mi piace molto l’inno inglese perché la melodia è bella ed è bello che il popolo celebri la renna -
A volte è difficile andare oltre l’errore. Una volta uno studente mi chiese “come si chiama l’albero dove crescono le uova?” e lo fece con una espressione così neutra che io stavo per iniziare a balbettare subito una spiegazione accondiscendente di biologia. “Vedi caro, le uova non crescono sugli alberi, le fa la gallina…”. Poi però, invece di rendermi ridicola e di sforare in un campo che non mi appartiene, mi sono resa conto che era un semplice errore linguistico. La risposta è molto più semplice, “Si chiama vite, ma attenzione, si dice uva, non uova”. E la renna dell’inno è la regina, naturalmente. Così è tutto più chiaro.
A volte capita di sentire uno studente dire che in centro a Roma ci sono tante nonne, e subito si pensa all’innalzamento dell’età media, alla mancanza di bambini, tanto che a uno straniero la città pare popolata di donne anziane, nonne appunto. Poi però uno si ricorda che a Roma c’è il Vaticano, e che per uno straniero il centro di Roma sembra affollato di preti e suore, che in inglese si chiamano nuns, nonne, appunto.
A volte le frasi degli studenti sono così formalmente corrette, che è difficile rendersi conto dell’errore, e si finisce per male interpretare una richiesta normalissima che ne contiene uno. A svelare questi errori insidiosi, sono bravissimi gli insegnanti non madrelingua e gli studenti stessi. Quest’ultimo caso si chiama correzione fra pari e gli insegnanti naturalmente la adorano. Non c’è niente di meglio di uno studente che insegna ad un altro tuo studente a parlare correttamente.
E lunga vita alla renna!