Scorcio
scór-cio
Significato Rappresentazione di un oggetto su un piano obliquo, secondo prospettiva; visuale di questo genere, specie pittoresca; taglio narrativo o retorico che è rapido, incisivo e obliquo; breve tempo finale
Etimologia da scorciare, che attraverso una voce del latino parlato ricostruita come excurtiare deriva da curtus ‘corto’.
Parola pubblicata il 11 Luglio 2024
Se non proprio drastica, però non è nemmeno un’azione delle più delicate, lo scorciare. È un’azione fattiva, ha in mente un risultato, può essere anche brusca: potere dello sbrigativo prefisso s-, e finisce per esserlo più del verbo collega ‘accorciare’, che ha una sua pratica delicatezza — mentre lo scorciare sventaglia forbici concrete e figurate verso capelli, abiti, testi prolissi con una rapidità e una decisione che non s’impastoia troppo in premure. È curioso che un elemento, una prospettiva così importante nell’arte e nella nostra più ricercata esperienza estetica quale è lo scorcio tragga origine da uno sforbiciare del genere.
Be’, l’attrazione per lo scorcio può assumere i caratteri di una frenesia di una mania. È un elemento che assorbe una buona parte dell’offerta e della ricerca turistica — un luogo ricco di ‘scorci pittoreschi’ è sommamente desiderabile, e fotografabile — e forse è l’unico contraltare all’esperienza autentica della tipicità, accoppiato ai più vasti panorami (che, si sa, devono essere mozzafiato).
Quella dello scorcio è un’idea di prospettiva, uno sguardo che prende d’infilata un taglio particolarmente significativo, rappresentativo, e lo inquadra. Noi viviamo gli scorci con i nostri sguardi e le catture delle nostre foto, ma la nascita del concetto, come forse si sospetta, è pittorica — e ci dà ragione del suo scorciare.
Nel mondo il cui ci muoviamo gli oggetti e gli spazi hanno dimensioni reali che, ad esempio, nella percezione del tatto non si modificano — fare il bordo della fontana carezzandone il marmo umido, misurandola a passi, ci rende in modo preciso e invariabile la sua estensione; invece la vista — così sicura! — distorce in maniera proteiforme.
Nella fuga della prospettiva il dritto si fa obliquo, il grande rimpiccolisce, molti soggetti anche distanti possono finire bellamente accostati e allineati — la soglia, l’albero, l’incrocio, il palazzo al fondo della piazza, e dietro lo scintillio del lago, il lume della barca, il monte, la luna. È la prospettiva a scorciare la vista nello scorcio, è la lama della fuga a fare lo scorcio. Pensiamo a che differenza c’è col panorama — con la sua vastità completa, che certo adotta con cura un punto di vista, ma che non taglia, non rifila, non infila. Il panorama, da etimologia, vede tutto, ed è un vedere orizzontale, indominabile, soverchiante, eccezionale per larghezza e posizione, mentre lo scorcio ha la poesia dell’ubiquità e dell’obliquità, del particolare, dell’abbinamento fra elementi in una strofa visiva che è un colpo d’occhio, perfino un po’ laterale.
Così, nella fretta della mia solita camminata posso incantarmi allo scorcio di un vicolo che non avevo mai notato, o del cortile dietro un cancello o un portale lasciato aperto; posso deliziarmi di come a ogni sguardo nel borgo di mare mi sorprenda la semplice magnificenza di un nuovo scorcio; dei punti da cui si godono particolari scorci presso cui si accalcano comitive determinate a fare l’ennesima foto identica.
Un concetto del genere si presta a splendidi usi figurati. A parte i casi in cui è più genericamente una vista limitata — posso notare di scorcio un gesto d’intesa fra due persone, vedo uno scorcio di montagna dalla mia finestra — il suo essere taglio rapido e obliquo e incisivo si porta in metafora. Posso parlare degli scorci che ci rende l’amica della sua avventura, di una narrazione che ha in scorcio dei momenti spassosissimi, di critiche mosse in scorcio mentre si parla d’altro, di una ricapitolazione essenziale fatta per scorci di nozioni che servono al prossimo argomento. E lo scorcio finisce per essere anche un ultimo breve tempo alla fine di un periodo — ci resta uno scorcio di giorno, e l'opera tipica dello scorcio di un'epoca.
Così un concetto pianamente manuale si fa concetto di rappresentazione artistica, e quindi concetto estetico e storico e retorico e (se mi scusate la parola) diegetico. Sorte straordinaria, tipica delle parole più gagliarde.