Volgere
vòl-ge-re (io vòl-go)
Significato Indirizzare qualcosa in un certo punto; piegare, voltare; mutare, trasformare
Etimologia dal latino vòlvere ‘volgere, voltare, far girare’.
Parola pubblicata il 26 Settembre 2016
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
Poche parole sono come questa ricche di significati: tanta ricchezza scaturisce dalla fertilità della sua immagine fondamentale. ‘Volgere’ è una parola consueta ma di registro piuttosto elevato, che basilarmente, e con grande grazia, descrive un girare verso qualcosa - una direzione: la via che volge a ovest piega verso quel punto, la casa è volta a sud.
Ma l’atto del volgere è anche (e forse soprattutto) lo scorcio di un’intenzione - come quando si volge il telescopio verso Venere, o come quando si volgono le spalle in spregio. Anzi proprio il carattere finalistico di questo termine acquista un peso determinante: l’investimento è volto al profitto, l’incontro è volto alla pacificazione, l’opera commerciale è volta al successo.
Ma se ne può anche voler valorizzare il carattere di mutamento di direzione - cosicché il volgere diventa il trasformare: la tragedia si volge in commedia, la cena di lavoro si volge simpaticamente in caciara, lo splendore del giorno volge nella tranquillità della sera.
Questo termine ci fa comprendere come non sia necessario aver contezza di ogni particolare esito di significato di una parola: l’importante è tenere salda la figura concettuale su cui si fonda, vederne i colori, sentirne i sapori. È l’unico modo per usarla in maniera autentica e creativa.
(Da notare che il termine ‘voltare’, suo gemello passato attraverso la corruzione popolare, condivide con ‘volgere’ solo i significati più concreti.)
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(Dante, Inferno I, vv. 31-36)
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al vólto,
anzi ‘mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Avrete già capito dove ci troviamo: Dante, ancora smarrito nella selva, ha appena intravisto una via di salvezza al di là del monte. Vi si frappongono però tre fiere spaventose: una lonza (che cosa sia esattamente non è chiaro, ma fidiamoci), un leone e una lupa. E così il povero Dante, spaventato a morte e ancora privo della guida di Virgilio, è seriamente tentato di tornare sui suoi passi.
Ce lo dice con una parolina semplice, “volgere”, evidenziata però da un duplice artificio. Innanzitutto, vólto (nel senso di viso) e vòlto (participio di volgere) formano una rima equivoca: cioè una rima tra parole di significato diverso, ma dalla pronuncia sostanzialmente identica (in questo caso, infatti, la sola differenza sta nella maggiore o minore apertura della O).
Ma non è finita: abbiamo anche una figura etimologica (“più volte volto”), ossia l’accostamento tra parole che hanno la stessa radice. Infatti la parola “volta” (da cui anche l’avverbio “talvolta”) indica letteralmente un “giro”. Volendo, potremmo considerare persino la rima tra vòlto e vólto una figura etimologica (ammesso che anche vultus derivi da “volgere”, come alcuni ipotizzano).
Comunque, quest’accumularsi di figure retoriche ci fa capire che “volgere” è una parola chiave. E, in effetti, tutta la Commedia si basa sull’equivalenza tra vita e cammino, per cui peccare è “smarrire la strada” verso la felicità (un’ultima curiosità etimologica: alcuni riconducono “peccatum” alla stessa radice di “piede”. Se quest’ipotesi fosse corretta, “peccare” significherebbe proprio mettere il piede in fallo). Viceversa, la “con-versione” è la ricerca di una strada che appaghi il desiderio profondo del cuore.
Non a caso la Commedia si apre proprio sulla parola “cammino”, mostrandoci un percorso al tempo stesso concreto (compiuto da Dante Alighieri, nella notte di venerdì santo del 1300) e universale (“di nostra vita”).