Zenit

zè-nit

Significato In astronomia, punto immaginario dell’intersezione tra la retta verticale passante per l’osservatore e la sfera celeste; punto più alto, posizione massima

Etimologia dalla parola araba samt, cioè ‘via, strada, direzione’, nell’espressione samt ar-ras ‘direzione della testa’, latinizzata con fantasia da qualche copista medievale in sanit e zenit.

Immaginiamo di camminare da soli in una radura persa in qualche luogo di questo vasto mondo: tutto attorno a noi l’orizzonte descrive una linea frastagliata, irregolare, tra cime, valli e passi di montagna. L’occhio si perde in tanta bellezza. E poi il sole tramonta ad occidente, lasciando apparire le stelle nella loro fulgente bellezza. È una notte di luna nuova, tutta l’infinita beltà della Via Lattea ci si para davanti agli occhi. Alziamo la testa, piegandola leggermente all’indietro, osserviamo quel punto indefinitamente lontano che sta proprio sopra il nostro capo, la colonna infinita d’aria, materia, pulviscolo cosmico e luce che ricade in linea retta sulla nostra minuscola persona. Ecco lo zenit, ecco il punto più alto, l’eccelso, il massimo. In realtà non esiste, è immaginario, cambia sempre, per ciascun osservatore, per ciascun punto di osservazione, in qualsiasi momento della rotazione e della rivoluzione terrestre.

Esiste e non esiste, perché è relativo, è contingente all’osservazione che si fa in quel preciso istante. Nondimeno, è un punto dalla valenza così simbolica che nella lingua corrente è diventato sinonimo dell’acme, della gloria più alta, del momento massimo: Ayrton Senna era allo zenit della sua carriera quando la curva del Tamburello lo spedì al Creatore. Ecco, in questa foto puoi vedermi allo zenit della mia bellezza e giovinezza, ah, quanta nostalgia!

Zenit, una parola dal suono secco, misterioso e anche un po’ magico. La dobbiamo, così come è arrivata nella nostra lingua, a una lettura sbagliata dei copisti medievali.

Nel latinizzarla hanno trasformato una ‘m’ in ‘ni’: era un errore comune, visto che sono sempre tre gambe, e che il puntino sulla ‘i’ non invale prima del XV secolo — un errore che all’inverso, da ‘ni’ a ‘m’, avevamo già incontrato indagando l’origine di collimare. Chissà, luce bassa, grafia imperfetta, stanchezza… Ad ogni modo, l’espressione araba alla sua origine è samt ar-ras, ovvero la ‘via della testa’. Intuitivo: traccia la via che dal tuo capo andrebbe fin su nelle altezze siderali. Seguila e troverai il punto più alto. L’espressione si riduce in samt, che per il detto errore diventa sanit, e quindi, ulteriormente, zenit.

Notiamo che anche il punto opposto allo zenit, cioè quello agli antipodi della sfera celeste, verticalmente sotto il punto di osservazione, ha un nome arabo: naẓīr, che diventa ‘nadir’ forse attraverso un passaggio dallo spagnolo. Con minor sforzo, il suo significato proprio è giusto ‘opposto’.

Gli arabi, oltre a saperla lunga in quanto a medicina, agricoltura e navigazione, sono stati tra i più acuti e prolifici osservatori del cielo. Attingendo ai lavori di coloro che li avevano preceduti in Persia, India e Grecia, essi approfondirono ed ampliarono le conoscenze astronomiche, fornendo poi agli osservatori celesti bizantini ed europei ulteriori conoscenze e idee sul grande cosmo. I loro trattati e le conseguenti traduzioni, così come avvenne per la medicina a Salerno, integrarono il sapere occidentale, creando così quella base di conoscenze che nei secoli ha portato poi alle grandi scoperte di Copernico, Keplero, Galileo fino ad arrivare a Stephen Hawking: parafrasando Isaac Newton, se loro hanno visto più lontano è perché stavano seduti sulle spalle dei giganti. Tra questi giganti ci sono stati anche gli astronomi arabi.

Parola pubblicata il 13 Maggio 2022

Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini

Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.