Alcalino
Parole semitiche
al-ca-lì-no
Significato Che è proprio degli alcali, basico, dei metalli che appartengono al primo gruppo della tavola periodica, di reazioni chimiche basiche
Etimologia dall’arabo al-qily ‘potassa, soda’, derivato da una radice trilittera q – l – y che indica il friggere, l’arrostire.
Parola pubblicata il 17 Gennaio 2020
Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini
Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.
L’aggettivo alcalino è proprio della chimica, ma lo usiamo normalmente quando dobbiamo andare ad acquistare delle pile alcaline per accendere dispositivi di ogni tipo. Queste batterie sfruttano le caratteristiche del potassio, un elemento che appartiene al primo gruppo della tavola periodica, detto ‘gruppo dei metalli alcalini’. Ne fanno parte il potassio, appunto, il cesio, il litio, il rubidio, il francio ed il sodio. Che cosa accomuna questi elementi? Senza entrare nel merito specifico delle proprietà chimiche di ciascuno di essi, è sufficiente riassumere la faccenda in questo modo: sono tutti basici e neutralizzano quindi gli acidi.
Basi, acidi, potassio, pile… a questo punto viene da chiedersi che cosa abbia a che fare tutto questo con l’arrosto, con il fritto, con la cucina. Beh, la risposta più semplice è che la cucina è il laboratorio più comune e diffuso nel mondo, teatro di reazioni chimiche facili e quotidiane. Ora abbiamo i fornelli a gas o le piastre ad induzione, ma quando si cuoceva tutto sul fuoco alimentato a legna, oltre alle reazioni chimiche che bollivano in pentola ve n’era una che avveniva sotto il calderone: la combustione. Il risultato della combustione, oltre al calore, è un residuo chiamato cenere, che nei tempi antichi veniva usato per fare il bucato. La composizione di questo residuo polveroso ovviamente varia a seconda del tipo di legna che si utilizza come combustibile, ma in generale il legno ha sempre una percentuale molto alta di potassio nelle ceneri. Gli arabi riconobbero le proprietà basiche di questo residuo polveroso della combustione e, facendolo bollire, ricavavano una sostanza chiamata potassa, composta principalmente di carbonato di potassio. Ma a chi è attribuito lo studio scientifico della sostanza basica ricavata dalla combustione?
C’è in effetti un nome illustre dietro tutto ciò, quello di Abu Musa Jabir Ibn Hayyan, il quale ha subito la stessa sorte di Avicenna e Averroè, cioè quello di essere latinizzato. A lui è toccato in sorte lo pseudonimo Geber. Forse ne avrete sentito parlare come di ‘colui che trasformò l’alchimia in chimica’. Fu uno scienziato, alchimista e chimico, dunque, ma anche farmacista, ovviamente. Nacque a Tus, un’antica città della zona del Khorasan, la regione a nord-est dell’attuale Iran (quindi era persiano, e non arabo, ma arabografo, poiché l’arabo era la koinè diàlektos, la lingua comune del mondo musulmano), all’incirca nel 721 e sembra che divenne un venerando ottuagenario prima di morire. Lasciò un insieme di opere passato alla storia come il Corpus Geberianus. Ovviamente i problemi di traduzione e tradizione comuni a molti testi antichi hanno comportato che un alone di mistero si sollevasse intorno alla sua figura, rendendola talvolta controversa e facendo sorgere dubbi addirittura sulla sua storicità. Un enigma, insomma, a cui molti accademici rispondono ipotizzando piuttosto l’esistenza di un insieme di studiosi, di una scuola, i cui adepti redassero i testi passati alla storia come corpo geberiano.
Quale sia la verità storica non lo sapremo probabilmente mai. La cosa certa è che l’alchimia, la chimica insomma, ha parlato fluentemente arabo per molti secoli, e noi ancora troviamo le tracce di questa arabofonia nella nostra lingua.