Atonale

Le parole della musica

a-to-nà-le

Significato Linguaggio compositivo non tonale, che non accoglie i principi della musica tonale ottocentesca

Etimologia dal latino tonus ‘tensione di una corda; accento; intervallo fra due note’, col prefisso a- privativo.

  • «Ci credo che non la trovi molto orecchiabile, è musica atonale.»

Atonale è un neologismo, uno dei numerosi coniati nell’irrequieto Novecento per dare un nome a un complesso fenomeno culturale della musica occidentale. Complesso al punto che il termine non fu ritenuto congeniale nemmeno dai principali esponenti della seconda Wiener Schule, rappresentati dal capostipite Arnold Schönberg e dai suoi pupilli Alban Berg e Anton von Webern.

La musica atonale nacque a Vienna, capitale mitteleuropea che si affermò come uno dei principali centri culturali della vecchia Europa (l’altro era Parigi). Convenzionalmente, si parla di ‘seconda’ scuola di Vienna per distinguerla dalla ‘prima’, formata dai compositori ‘classici’ per eccellenza: Mozart, Haydn e Beethoven.

Il conio della parola atonal sembra spettare al compositore e critico musicale austriaco Joseph Marx (1882-1964). La sua musica non rispecchia affatto quel linguaggio; più semplicemente, usò la parola in un testo che trattava di armonia e che poi divenne la sua tesi di dottorato nel 1909.

La musica atonale rappresentò un momento di passaggio da cui si diramarono diverse esperienze come la musica seriale, ma anche l’espressionismo o il puntillismo, due movimenti che presero a prestito la terminologia dagli omonimi pittorici. Atonale significa, alla lettera, senza tonalità o comunque al di fuori delle regole tonali. Questa categoria però è generica.

L’atonalità è, in effetti, un grande contenitore proteiforme e può manifestarsi come negazione totale o parziale del sistema tonale. Viene, insomma, messo in crisi il linguaggio compositivo che la ‘prima’ scuola di Vienna aveva portato all’apice, del quale erano state esplorate tutte le possibilità espressive, sino agli estremi toccati dagli ultimi epigoni tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, fra cui Gustav Mahler e Richard Strauss.

La dodecafonia, teorizzata da Schönberg, fu tra i primi veri tentativi di codifica di un nuovo sistema ‘alternativo’, anche se già dalla seconda metà dell’Ottocento Wagner o Liszt composero musiche che sfidavano il concetto di tonalità. Nella composizione conosciuta come Bagatelle ohne Tonart di Liszt (1885), ad esempio, il ‘centro tonale’ è incessantemente fluttuante e l’orecchio è ingannato dal susseguirsi continuo di scale cromatiche. Il carattere della musica probabilmente fu determinato dalla destinazione originaria della composizione, che avrebbe dovuto essere il quarto Mephisto-Walzer. Mefistofele, l’ingannatore per eccellenza, è richiamato anche dai trìtoni, i ‘diabuli in musica’.

Nulla a che vedere con il livello di atonalità che raggiungerà Schönberg, anche lui a sua volta partito da un idioma tardo-tonale. Eppure, il fondatore della dodecafonia diverrà il protagonista proprio del Doktor Faustus di Thomas Mann, incarnato nella finzione narrativa dal personaggio del musicista Adrian Leverkühn.

Invece le brevissime Bagatelles per quartetto d’archi di Webern (1911-1913) riflettono proprio le idee della Wiener Schule, da cui discenderà anche la musica seriale. Nel 1932 Webern affermò in proposito:

Mentre ci lavoravo, provavo la sensazione che una volta esaurite le dodici note, il pezzo fosse terminato.

Cromatismi e dissonanze erosero inesorabilmente i pilastri su cui poggiava la musica tonale. La gerarchia e la logica del linguaggio compositivo precedente cedettero il passo a una concezione dello spazio sonoro unitario e onnicomprensivo, dove consonanza e dissonanza si equivalevano, condensate in un nuovo equilibrio.

Sul piano concettuale, la musica abbracciò una visione ‘moderna’ e razionale. Come scrisse György Lukács in Die Theorie des Romans del 1916, l’arte abbandonò anche la sua funzione di mimesi, d’imitazione del reale, divenendo «una totalità creatrice». Il pensiero del Novecento professò la solitudine come condizione esistenziale dell’individuo e dell’artista; tuttavia, lacerato il tessuto musicale, mutò anche il rapporto con il pubblico.

Sembra comunque che Igor Stravinskij, nonostante avesse utilizzato abilmente il linguaggio atonale, dichiarasse in un’intervista che si sarebbe potuta scrivere ancora tanta musica tonale, forse perché l’innovazione può avvenire anche da idee e significati nuovi, nonostante si esprimano per mezzo dei linguaggi della tradizione.

Parola pubblicata il 16 Marzo 2025

Le parole della musica - con Antonella Nigro

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