Doh

dòh

Significato Imprecazione di disappunto e frustrazione; anticamente, interiezione dai significati molteplici, fra cui rimprovero, sdegno, meraviglia o esortazione

Etimologia voce onomatopeica.

Ma veramente l’imprecazione tipica di Homer Simpson si trova a registrata sul Vocabolario degli Accademici della Crusca, ed è attestata in italiano dalla fine del Trecento? La risposta breve è ‘no’, ma c’è qualcosa di profondamente curioso e in un certo senso sbagliato, in questo ‘no’.

Homer Simpson, fra i protagonisti della più celebre serie comica animata al mondo (I Simpson, iniziata negli anni ‘90) esprime il proprio disappunto esclamando un sonoro doh, spesso graficamente reso come d’oh. Si tratta del modo in cui il doppiatore originale di Homer Simpson, Dan Castellaneta, ha reso la dicitura che sulla sceneggiatura compariva come annoyed grunt (diciamo ‘grugnito infastidito’) con cui Homer doveva reagire in certi casi, e che è diventata la sua reazione distintiva. Castellaneta però non ha inventato questa esclamazione; l’ha mutuata da un attore del cinema comico, diventato celebre fra gli anni ‘20 e ‘30 specie come spalla di Stanlio e Ollio: James Finlayson. Per ammorbidire l’esclamazione di disappunto ‘Damn!’ era solito proferire un eufemistico ‘Doh-ho!’ (ne possiamo vedere e sentire un esempio qui), più protratto e meno grugnito del ‘Doh’ homerico.

Ora, attraversando la nostra letteratura, specie più antica, capita di imbattersi in non pochi doh. Si trova proposto (nelle fonti che se ne interessano) che questa interiezione abbia un’origine espressiva, onomatopeica — ma mentre il doh di Homer ha un significato piuttosto netto, il doh dell’italiano antico ne aveva di variegatissimi: oltre ad essere una generica imprecazione, poteva comunicare riprensione e rimprovero, come anche sdegno disappunto e rammarico, ma poteva orientarsi al positivo trasmettendo desiderio e meraviglia, e perfino introdurre un’ esortazione o una preghiera. Potevo quindi dire “Doh, che cretino” e “Doh, che bellezza”, “Doh, come vorrei una fetta di torta” e “Doh, pensaci tu!”. Spesso le nostre interiezioni hanno spettri di simile ampiezza (pensiamo alle versatilità di ‘oh’, ‘ah’, ma anche ‘cavolo’ e simili), però il doh è stato a mano a mano dismesso.

Oggi torna — più affilato e concentrato sul disappunto e sulla frustrazione — sul cavallo di un elemento culturale internazionale iconico e dalla nascita del tutto arbitraria: in discorsi meno formali non è difficile imbattersi in qualche doh, o d’oh. Così potrò dire che doh, mi sono scordato di darti il tuo regalo, o scriverò che doh, mi sono fatto sfuggire una cosa che rovina la sorpresa, e se mi domandi se ti ho portato i guanti che mi avevi chiesto, sicuramente risponderò con un doh.

Il riferimento simpsoniano non è più freschissimo: i Simpson passeranno ed è difficile sapere quali saranno le sorti del nuovo doh. Però resta la meraviglia di una convergenza onomatopeica, che ci ha fatto riscoprire, con un taglio diverso, un uso di gente che ha vissuto tanto prima di noi.

Parola pubblicata il 30 Dicembre 2021