Fulgore

ful-gó-re

Significato Intenso splendore

Etimologia dal latino fulgor, da fulgère ‘splendere, brillare’.

  • «Mi ha sorriso, e sono stato colpito da un fulgore che non avevo mai neppure immaginato.»

Il fatto curioso è che sapremmo usarla benissimo, questa parola: è trasparente nel significato, chiara negli effetti. Però mette in soggezione — certo più di un sinonimo come splendore, che da sempre è molto, molto più usato.

Siamo davanti a un recupero dotto dal latino fulgor, che appartiene alla grande pianta del fulgère, che è uno splendere, un brillare — da cui ‘rifulgere’, ‘fulgente’, ‘fulgido’, ‘folgore’, ‘fulmine’. Come s’intende il fulgore è il grande splendore, vivace, magari proprio abbacinante; e proprio come lo splendore ha vasti significati ulteriori, più o meno metaforici. Il fulgore di uno sguardo, il fulgore di un talento, di un ingegno, il fulgore della tua bellezza, il fulgore di un periodo storico, il fulgore di una pleiade di personalità che danno lustro a una corrente. La grande luce è un grande simbolo.

Possiamo notare questo: lo splendore sta più in superficie, il suo brillare pare meno radicale. Invece il fulgore ha una densità di luce maggiore, e profondissima. Pensiamo a che differenza c’è fra lo splendore della serata e il fulgore della serata — ci passa quanto fra lo sfarzoso e l’indimenticabile; pensiamo a che differenza c’è fra lo splendore di una poesia e il fulgore di una poesia — separati quanto un apprezzamento estetico episodico e uno universale; o fra lo splendore di un gioiello e il fulgore di un gioiello — uno sarà conservato nel caveau, uno sarà conservato nei racconti.

Il fulgore pare accedere a una dimensione ontologica, essenziale. La luce, qui, non sembra essere mera figura di un valore, ma un modo in cui il valore prende sostanza, quasi stracciando la metafora, quasi restando luce letterale. Il fulgore di una bellezza ha un suo peculiare modo di ferire lo sguardo, il fulgore di una città quasi la lascia senza angiporti e fornici semibui, il fulgore di un passo o di un verso quasi lo notiamo come lucore nel taglio del libro chiuso. Chiaro che possa mettere in soggezione, che non sia una parola buona per ogni brillìo e tropo di brillìo. Anzi.

Da bravi cinghiali che hanno le loro querce preferite sotto cui tornare a cercar tartufi, ricordiamo che nel sommo del Paradiso, Dante vede Dio. Lo guarda bene, lo guarda dentro con questi nostri occhi. Ma quella di Dio non è una visione per cui abbiamo ali adatte: è una percossa ultima, inferta alla mente da un fulgore — «ma non eran da ciò le proprie penne: / se non che la mia mente fu percossa / da un fulgore in che sua voglia venne». Di qui, solo altri tre versi a «l’amor che move il sole e l’altre stelle», e un’idea più concreta di che genere di luce possa essere il fulgore. Non ci resta che osare, se ci va.

Parola pubblicata il 14 Ottobre 2025