Legenda

le-gèn-da

Significato Didascalia che spiega segni convenzionali

Etimologia dal latino legenda propriamente ‘da leggere’, neutro plurale del gerundivo del verbo lègere ‘leggere’.

Questa è una delle parole con cui più probabilmente sono iniziati i nostri trascorsi con l’etimologia, da piccoli. Quando a scuola in una pagina del quaderno usavamo sigle o colori con significati specifici, li annotavamo in un riquadro dedicato — un tipo di didascalia, lo stesso che correda mappe e grafici. E sopra si titolava legenda. «Attenzione, non leggenda!» ci si raccomandava. Questa ha una ‘g’ sola, sono parole molto diverse, la legenda è questa spiegazione di segni convenzionali, la leggenda figuriamoci, è quella della regina maga che camminava solo di lato, del fantasma del bottaio di Guardiola in Chianti, del tortello d’oro fatto foggiare secoli fa da… insomma, una narrazione fantastica tradizionale. E — si chiosava — questa si chiama ‘legenda’ perché è ‘da leggere’, e in latino ‘da leggere’ si dice così perché il verbo leggere era lègere (l’altra si chiama leggenda perché boh).

Ecco, no: purtroppo siamo partiti col piede sbagliato. Legenda e leggenda sono la stessa parola. Ad esser precisi, ‘legenda’ è stata vezzosamente riportata in una forma più latina. Quando? La prima attestazione è del 1957. Prima si usava ‘leggenda’ (termine duecentesco) anche col filone dei significati che sono toccati a ‘legenda’. E il perché è presto detto: è tutta roba da leggere.

Legenda in latino è il neutro plurale del gerundivo di lègere; il gerundivo in latino è un aggettivo verbale che esprime necessità o dovere, quindi legenda qualifica letteralmente qualcosa ‘da leggere’. «Ah ma certo perché anche le storie di Re Artù sono un must, assolutamente da legge…» No! Piano. La spiegazione non è che la leggenda è gagliarda e quindi imperdibile, proprio da leggere.

Siamo nella seconda metà del Duecento, e un frate domenicano, Jacopo da Varagine, sta scrivendo quello che sarebbe diventato e rimasto un best seller pazzesco nei successivi tre-quattrocento anni: la Legenda aurea (la traduzione sottintende un cose, o vicende, o storie: “[storie] d’oro da leggere”). Una raccolta agiografica, cioè una raccolta di racconti di vite di santi, antichi e contemporanei, organizzati secondo il calendario liturgico. Le storie erano da leggere nel giorno dell’anno dedicato al santo protagonista della singola narrazione. La diffusione del testo e di questa pratica fu impressionante, e l’abitudine di sentire le storie dalla legenda, anzi leggenda, che spesso aveva tratti fantasiosi, ha dapprima determinato il significato ampio di racconto agiografico, e poi, a partire dal Seicento, quello di racconto tradizionale fantasioso in genere.

Il significato proprio di ‘legenda’ che abbiamo visto nella fruizione della Legenda aurea — ‘da leggere’ — è stato impiegato fin dal Trecento anche per indicare, nella solita forma popolare di ‘leggenda’, scritte, iscrizioni ed epigrafi che dovevano essere lette, e quindi note, ricette, scartafacci e didascalie. Finché, alla fine degli anni ‘50, per indicare le didascalie sui segni convenzionali di mappe, grafici e illustrazioni, qualcuno non ha deciso che rilatinizzato il termine avrebbe funzionato meglio. Ed ecco la legenda che ci è consueta.

Quindi, se sentiamo un bambino chiedere che significhi propriamente ‘legenda’ e se c’entri con la leggenda, dobbiamo farlo sedere e iniziare a raccontagli la storia di Jacopo da Varagine, frate domenicano, vicario generale dell’ordine e arcivescovo, e della sua Legenda aurea.

Parola pubblicata il 09 Ottobre 2019