Prolazione

Le parole della musica

pro-la-ziò-ne

Significato In italiano, desueto: eloquio, loquela, parlata, pronuncia, proferimento. In musica, nell’antica notazione: misura della semibreve, che può valere due o tre minime

Etimologia voce dotta dal latino proferre, ossia ‘mettere avanti, esporre’ e anche ‘addurre, citare’ formato dal prefisso pro- e dal verbo ferre ‘portare’ da cui è derivato il sostantivo prolatio (dal participio passato prolatus).

  • «Il giudice ha fissato il giorno per la prolazione della sentenza.»

Nella lingua italiana questa parola è quasi decaduta dall’uso benché, volendo, potrebbe essere recuperata. Deriva dal latino e sopravvive immutata da secoli in esigue aree protette, accessibili solo a un pubblico ristretto. Comunque, è un lemma presente in tutti i dizionari; fa parte delle parole cólte, motivo per cui si trova esclusivamente in contesti letterarî elevati.

Per esempio, nel 1572 Alessandro Piccolomini tradusse e commentò la Poetica di Aristotele, considerando la difficoltà di ripristinare la pronuncia originale del greco e del latino, non essendo possibile ricostruire come fossero ‘proferite’ le sillabe e gli accenti in queste lingue ormai estinte. Scrisse perciò:

Per essersi perduta la vera prolazione & pronuncia dell’antica lingua greca, com’eziandio della latina, molte prolazioni di sillabe sogliamo far noi nell’una & nell’altra di quelle lingue, seguendo il modo della pronuncia nostra, che assai altrimenti si soleva in quei tempi, che vivevano quelle lingue, fare.

In latino prolatio significa esposizione, proroga, emanazione, ma anche estensione, ampliamento. Cosa c’entra, allora, la musica?

Se oggi il termine sopravvive, è anche grazie al suo impiego in musica, dove lo troviamo almeno sin dal Medioevo. L’uso primario riguardava la perfezione o l’imperfezione della semibreve. Chi non ha studiato musica, forse ricorderà nei libri delle scuole medie lo schema in cui ogni figura musicale è suddivisibile in due figure del valore immediatamente più piccolo. Così a una semibreve corrispondono due minime, a una minima due semiminime, e via di seguito.

Nel Medioevo e nel Rinascimento però le cose non stavano in questi termini. Le figure musicali più grandi potevano essere suddivise in due valori immediatamente più piccoli, e in questo caso erano imperfette, oppure in tre, e allora erano perfette. La questione era regolata da complessi segni mensurali. Senza scendere in particolari troppo tecnici, se a un semicircolo (che nella notazione moderna indica i 4/4 di una battuta) o a un circolo (desueto segno del tempo perfetto) veniva posto un punto al centro, allora la semibreve era perfetta e valeva tre minime.

Questo regime era detto di prolazione maggiore. Viceversa, l’assenza del punto decretava – come nella notazione attuale – una suddivisione binaria, ossia due minime, corrispondenti alla semibreve imperfetta e allora la prolazione si diceva minore.

Comunque, la materia è difficile, ma ci si può consolare: la mentalità medievale era diversa dalla nostra; il concetto di perfezione e imperfezione era alla base della notazione musicale, così come di altri campi dello scibile. Complice Pitagora, il tre era considerato il numero perfetto, ed era stato assunto dal Cristianesimo come espressione della Trinità divina.

Un’annotazione: se invece di valutare le possibili suddivisioni della semibreve, considerassimo quelle della breve, avremmo a che fare con il ‘tempo’. Analogamente alla prolazione, il tempo potrà essere perfetto se la breve varrà tre semibrevi, oppure imperfetto se ne varrà solo due.

Non sarebbe magnifico avere un tempo perfetto?

Parola pubblicata il 15 Maggio 2022

Le parole della musica - con Antonella Nigro

La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale