Solere

Leopardi spiega parole

so-lé-re (io sò-glio)

Significato Avere l’abitudine di, essere solito svolgere una determinata azione, tenere un certo comportamento

Etimologia dal verbo latino solere, ‘essere solito’, ‘avere l’abitudine di’; riferito a persone vale anche ‘frequentare’, ‘avere dimestichezza con’.

  • «Come si suol dire.»

Spesso, quando ero bambina, d’estate dopo cena, mi ritrovavo con i miei vicini di casa a giocare a nascondino nel cortile”; “Mia nonna, di solito, ci preparava le lasagne la domenica”; “Mio marito, quando sapeva che avrei avuto un turno molto presto al mattino, era solito lasciarmi la colazione pronta, e un fiore di fianco alla tazzina del caffè”.

Quando si rievocano dei ricordi del passato che avevano a che fare con il quotidiano, con quelle consuetudini che, benché ora non abitino che la memoria, hanno ancora il tepore di casa - si usano spesso delle perifrasi che conferiscono il senso di “qualcosa di abitudinario”.

Esiste tuttavia un verbo che racchiude in sé esattamente questo significato, il verbo solere, il quale però, se nella lingua latina poteva vantare una certa larghezza d’uso, in italiano è stato via via condannato ad un’esistenza piuttosto precaria.

È considerato infatti un verbo difettivo, che può cioè essere flesso solamente in alcuni modi e tempi: in questo caso specifico, principalmente in certi tempi semplici dell’indicativo e più raramente del congiuntivo. Per tutte le altre forme verbali è necessario ricorrere alla perifrasi “essere solito”, che del verbo originario mantiene il participio passato: tale voce, solito, è di fatto quella che ha goduto di maggiore fortuna, facendosi poi autonomamente strada come aggettivo (“sempre la solita storia!”), sostantivo (“oggi è più taciturno del solito”) e anche avverbio (solitamente, di solito).

Ma tornando al nostro verbo, benché ad oggi sia pressoché inesistente nell’uso corrente della lingua (ad eccezione della nota espressione “come si suol dire”), nell’italiano letterario riceveva invece l’apprezzamento e la fruizione che merita, data l’unicità specifica del suo significato.

La donzelletta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,
col suo fascio dell'erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dì della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch'ebbe compagni dell'età più bella.

Giacomo Leopardi, Il sabato del villaggio

Qui il verbo solere compare nei suoi due tempi più “tipici”, al presente e all’imperfetto: il primo riguarda la consuetudine odierna di una fanciulla che, il giorno precedente la festa del paese, prepara i fiori con cui è solita ornarsi in tale ricorrenza; l’imperfetto, che potremmo definire senza indugi il “tempo dei ricordi”, è riferito a un’anziana signora, il viso colorato dalla luce tramonto, che racconta alle vicine del tempo in cui, giovane, era solita danzare durante la festa del paese con i compagni d’un tempo, ornata proprio come quella giovane ragazza.

Leopardi, commentando una poesia del Tasso in cui figura la voce soleva, era colpito dal senso di vastità conferito da tale voce, per via della quantità di rimembranze che essa porta con sé: se abbiamo definito l’imperfetto il tempo dei ricordi, potremmo allora parlare delle forme di solere in questo tempo come dei “verbi dei ricordi”.

Ma uscendo dalle stanze della memoria e spostando la lancetta del tempo ancora più indietro, incontriamo un uso inedito di questo verbo, che non poteva venire altrimenti che dal più creativo dei nostri poeti. Scopriamo infatti che Dante, nella Commedia, ne usa l’infinito anche in funzione sostantivata: il solere, nel senso di ‘ciò che si fa o che avviene normalmente’, che verrà poi sostituito dal nostro odierno “il solito”. Nel ventisettesimo del Purgatorio, dopo un rapido tuffo nel fuoco per superare l’ultima cornice, giusto nell’erta finale che porta all’Eden, la notte cala. Di lì poco si vede del cielo di sopra, ma le stelle si vedono più brillanti e grandi… del solito, appunto.

Poco parer potea lì del di fori;
ma, per quel poco, vedea io le stelle
di lor solere e più chiare e maggiori.

Dante Alighieri, Pur. XXVII

Un’altra testimonianza dei destini divergenti, poetici e comuni, delle parole della pianta del solere.

Parola pubblicata il 16 Maggio 2022

Leopardi spiega parole - con Andrea Maltoni

Giacomo Leopardi, oltre ad essere un grande poeta, ha osservato e commentato esplicitamente molte parole della nostra lingua. Andrea Maltoni, dottoressa in filologia, in questo ciclo ci racconterà parole facendolo intervenire.