Tibia

Le parole della musica

tì-bia

Significato Lungo osso parallelo al perone, posto tra le articolazioni del ginocchio e della caviglia (o tra quelle equivalenti negli altri vertebrati). Antico strumento a fiato romano

Etimologia dal latino tibia, strumento a fiato.

  • Forza, pirati, issate la bandiera con teschio e tibie!

La tibia, proprio l’osso comunemente conosciuto, ha avuto un discreto successo d’immagine nell’arte figurativa barocca e nelle bandiere che sventolavano sulle temibili navi dei pirati (che non erano corsari). A vederla, suscita inquietudine; è il più interno e il più grande dei due ossi che si trovano tra ginocchio e caviglia, perciò non è mai un buon segno il fatto che sia a portata di sguardo. Eppure, osservando meglio, c’è dell’altro.

Il termine anatomico deriva infatti da tibia, un antico aerofono, uno dei tanti strumenti musicali a fiato dei Romani. Come l’arto animale, anche lo strumento era costituito da due pezzi, di uguale o di differente lunghezza, e dal punto di vista organologico corrispondeva all’aulos greco.

Ancor prima che a Roma, il suono della tibia accompagnava la vita degli Etruschi. Presenziava a moltissimi eventi, sia pubblici che privati, ed era connesso a divinità che presiedevano alle attività dei campi, come Bacco. Dagli Etruschi la tibia-strumento passò ai primi Romani, che l’accolsero con tutti gli onori, celebrandola nei versi dei grandi poeti.

In particolare, Tito Livio sottolineò l’importanza del lavoro svolto dai tibicines (suonatori di tibia). Racconta infatti che nel 309 a. C. i tibicines, scontenti per la perdita di alcuni privilegi, se ne andarono via da Roma per stabilirsi nella vicina Tivoli. Dal momento che non si potevano officiare i sacri culti senza tibiae, il Senato corse in fretta ai ripari. Non trovò di meglio che far ubriacare i suonatori, caricarli su un carro e riportarli a Roma mentre erano ancora in preda ai fumi dell’alcol. Ripristinati i privilegi soppressi, la questione finì. Anzi, sembra che proprio in quell’occasione venissero istituite le Quinquatrus Minores, feste che cadevano alle idi di giugno, con i tibicines che andavano in pompa magna al tempio di Minerva, suonando le tibie.

I Greci ritenevano la citarodia superiore all’aulodia, ma come si intuisce dall’episodio suddetto, nella Roma repubblicana la tibia/aulos deteneva uno status quasi sacro. Inoltre, la società romana era tradizionalmente fondata sul lavoro dei campi e rispettava le divinità protettrici della vita agricolo-pastorale; queste divinità, secondo il mito, suonavano proprio le tibiae.

Quando la nobile kithara greca arrivò a Roma, inizialmente fu considerata quasi alla stregua di una nuova moda che veniva da Oriente, senza comprendere bene il valore etico che possedeva nella sua patria. Insomma, gli strumenti a corda greci non riuscirono a sminuire la posizione centrale occupata dalla tibia nella storia musicale dell’antica Roma, nonostante Orazio si fosse spinto a definire la tibia ‘strumento dei barbari’. In realtà, a teatro la tibia accompagnava la recitazione, i cantica, gli intermezzi tra un atto e l’altro o le danze. In epoca imperiale lo scabillarius, una specie di direttore ante litteram, la suonava battendo il tempo con il piede sullo scabellum.

Il suono prodotto dalla tibia non assomigliava a quello del flauto, ma a quello degli strumenti ad ancia, tanto che ancora alla fine del Quattrocento Johannes Tinctoris usò questo termine per indicare una ciaramella. Ed è nella famiglia delle ancie, come le launeddas, l’oboe o il fagotto, che forse oggi si trovano i suoi epigoni.

Parola pubblicata il 10 Marzo 2024

Le parole della musica - con Antonella Nigro

La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale