Traccheggiare
trac-cheg-già-re (io trac-chég-gio)
Significato Indugiare, temporeggiare per rinviare una decisione o evitare di impegnarsi
Etimologia voce di origine onomatopeica.
- «Non traccheggiare, vieni qui e finisci!»
Parola pubblicata il 04 Gennaio 2023
Alcune parole sono puro sapore. Avremmo una bella cesta di alternative, sinonimi che raccontano il medesimo comportamento, gente a volte colorita e diretta, a volte sostenuta e distinta: è in questi grandi arcipelaghi che le parole possono davvero stagliarsi nella loro unicità.
Il traccheggiare nasce in una di quelle famiglie di sinonimi con una dozzina di fratelli. Il significato è molto preciso, ma da solo non vale a farlo spiccare, perché ci offre una precisazione ricorrente. È un indugiare, un prendere o perdere tempo per rinviare una decisione, o magari per evitare di impegnarsi in qualcosa. Messa davanti alla richiesta che non può ignorare ma a cui non vuole dar seguito, l’amministrazione traccheggia; traccheggia il bambino quando gli si chiede di rimettere a posto camera sua; e traccheggio cercando una soluzione mentre ho fatto intendere di averla già trovata.
Vogliamo un’espressione di gran colore? Per toccare questo sottrarsi agli impegni possiamo usare il ciurlare (magari ciurlare nel manico), mentre il temporeggiare fa al caso nostro se vogliamo un’espressione più composta che s’imperni sul rinvio. Se vogliamo una messa a fuoco sull’incertezza, abbiamo latinismi come il titubare e il vacillare — o come anche il tergiversare, se cerchiamo una descrizione dotta del gesto mentale di un eludere, di un ritardare, di uno sfuggire. Abbiamo il dubbio secco dell’indugiare o dell’esitare, abbiamo la delicatissima e raffinata soluzione tradizionale del nicchiare.
Il traccheggiare ci si presenta con una sfumatura famigliare: è un termine che si presta meglio a quei contesti in cui il costume e la misura possono cedere il passo a esigenze espressive. Ma non c’è niente di volgare — anche se c’è tutto di popolare.
Già perché questo verbo è un’onomatopea romanza. Questo vuol dire che è un termine fonosimbolico, in cui il suo stesso mero suono è chiamato a rappresentare un significato — peraltro piuttosto astratto, non siamo davanti al miagolare del gatto, al gloglottare del tacchino. E quell’aggettivo ‘romanzo’ vuol dire che non si tratta di una suggestione locale, ma di un’associazione che si è estesa nell’ambito delle lingue nate dal latino.
Si fonda sulla sequenza tric-trac o tricche-tracche, che rappresenta un movimento senza costrutto, un’oscillazione che non porta da nessuna parte. Il traccheggiare ci consegna tutta la sobbalzante, strascicata, indaffarata, magari perfino rumorosa inutilità degli atti di chi prende o perde tempo per non compiere una decisione, o per evitare di doversi impegnare in altro. È un termine messo a punto nei secoli (è del XV secolo) dall’orecchio assoluto di popolo, e ancora oggi una risorsa delle più brillanti e simpatiche del suo arcipelago.