Ambrosia

am-brò-sia

Significato Nel mito, cibo degli dei, che dava l’immortalità agli umani che la mangiavano; cibo o bevanda di sapore squisito; genere di pianta delle Asteracee

Etimologia voce dotta recuperata dal latino ambrosia, prestito dal greco ambrosia ‘cibo degli immortali’, derivato di ámbrotos ‘immortale’, a sua volta da brotós ‘mortale’, con a- privativa.

Che cosa mangiano le divinità dell’Olimpo, sedute ai loro fastosi banchetti? La risposta è: sempre la stessa cosa. Infatti fin dall’antichità ci viene tramandata — da Omero, e da numerose altre fonti — l’esistenza di una sbobba celeste (solida, si direbbe, ma non c’è concordia) con cui l’intero pantheon greco pasteggiava. L’ambrosia. E va detto che c’era anche un’omologa bevanda, il nettare.

Avremo probabilmente la curiosità di sapere che roba fosse quest’ambrosia, da dove venisse. Omero, nel XII libro dell’Odissea, è l’unico a dirci qualcosa, cioè che a Zeus la portavano ‘colombe fugaci’ — ma riguardo al mercato in cui questi pennuti se la procurassero Circe tace.

[«Ma il numero che anni fa mi diede una piccola notorietà era questo: facevo sparire una grossa oca. La mettevo sotto un telo scuro e lei spariva. Nessuno capiva come facessi. Vi dirò la verità: neanche io. Era l'oca che era brava.» Lo racconta Stefano Benni in Baol, e forse anche le colombe di Zeus erano semplicemente loro ad essere brave a trovare l’ambrosia.]

In realtà era una sostanza piuttosto versatile. Aveva virtù cosmetiche, per cui pare funzionasse come scrub ringiovanente e fluido da imbalsamazione; grazie alla sua fragranza poteva essere usata come profumo — le divinità ci si aromatizzavano le vesti.

Aveva anche il non trascurabile effetto, con un certo appeal sull’uditorio comune, di rendere immortale chi, mortale, la mangiasse. Era anzi al centro di furti celebri, come quello di Tantalo, che volle non solo mangiare l’ambrosia, ma offrirla a un suo banchetto (e fu terribilmente punito, ovviamente). Ma per quanto d’impatto, questo specifico effetto non dà spazio per usi estesi del termine: non c’è niente che dia l’immortalità in questo senso.

Però, pur non conoscendone di preciso forma e consistenza, possiamo almeno immaginarci che fosse un cibo squisitissimo. E a questo minimo addentellato si aggrappano gli usi figurati.
Infatti l’ambrosia diventa il cibo, ma anche la bevanda, con un sapore squisito. Per lusingare oltremodo l’amica cuoca e classicista, le chiederemo un altro piatto di quest’ambrosia che ha servito, per me non c’è ambrosia che rivaleggi con la pasta al pomodoro della mamma, e lo zio trasecolando per la delizia di un vino balbetta di sentirci sentori d’ambrosia.

Il nome ha una lunga storia, e pare radicato in maniera speciale nell’immaginario non solo greco-romano, ma addirittura indoeuropeo. Infatti con tutta probabilità il suo nome è un chiaro riferimento al rapporto che c’è fra questo cibo e l’immortalità: ámbrotos vale ‘immortale’, costruito su brotós ‘mortale’, con un’alfa privativa. Non solo cibo di esseri immortali, ma anche cibo che rende immortali — nozione del tutto analoga a quella dell’amrita sanscrito, bevanda rinvigorente delle divinità e negata ai demoni.

Curioso che questo nome, ambrosia, identifichi anche un genere di piante umilissime della famiglia delle Asteracee, vastamente diffuso nel mondo. Quest’ambrosia non dà certo l’immortalità, e anzi per il metro umano ha pregi limitati — dà soprattutto forti allergie. Solo, è infestante e resistentissima: chiude il cerchio di significato come pianta prosaicamente immortale.

Parola pubblicata il 10 Settembre 2022