Immortale
Leopardi spiega parole
im-mor-tà-le
Significato Che non muore, non mortale; che non avrà mai fine, eterno, imperituro
Etimologia dal latino immortalis, formato dal prefisso negativo -in e l’aggettivo mortalis, ‘mortale’.
- «Questo libro è un capolavoro immortale.»
Parola pubblicata il 13 Giugno 2022
Leopardi spiega parole - con Andrea Maltoni
Giacomo Leopardi, oltre ad essere un grande poeta, ha osservato e commentato esplicitamente molte parole della nostra lingua. Andrea Maltoni, dottoressa in filologia, in questo ciclo ci racconterà parole facendolo intervenire.
Nella brama tipicamente umana di superare i limiti assegnatici dalla natura, il desiderio più ardito e superbo è da sempre quello di sconfiggere la morte. Lungo i secoli e a tutte le latitudini la ricerca dell’elisir, della pietra, dell’incantesimo o del luogo che potesse rendere immortali ha accompagnato la storia dell’uomo, l’animale che non si accontenta mai.
Prima spedizione di Xu Fu sul Monte degli Immortali, di Utagawa Kuniyoshi
Eppure già nella tradizione mitologica classica - dove il mondo si divide netto tra mortali, gli umani, e immortali, le divinità - si iniziava a riflettere criticamente su questa condizione così estrema.
La punizione eterna inflitta a Prometeo prevedeva che un’aquila gli divorasse il “fegato immortale” ogni tre giorni: il titano immortale invoca invano la morte, desiderando solo di porre fine all’infinito perpetuarsi del suo dolore.
Nel mondo latino Giuturna, immortale per concessione di Giove, alla morte del fratello si interroga, disperata, sul senso di una vita eterna in un mondo di mortali:
Tra tutti coloro che ricevettero in dono l’immortalità, c’è anche chi questo dono lo rifiutò. Odisseo, di fronte alla proposta della ninfa Calipso di trascorrere una vita immortale insieme a lei sull’isola, rifiutò l’eternità preferendo piuttosto rimanere padrone del proprio destino.
Cesare Pavese, immaginando il dialogo tra questi due personaggi, ci offre la suggestione per cui l’assenza della mortalità somigli fin troppo all’assenza di vita tout court:
È paradossale scoprire che nel mondo greco ad essere chiamati “gli immortali” (con la forma sostantivata dell’aggettivo) furono però non soltanto le divinità, ma anche un gruppo di uomini tutt’altro che immuni alla morte: il corpo d’élite dell’esercito persiano. È evidente che il termine non alludesse alla non mortalità dei suoi combattenti ma piuttosto al fatto che ciascun soldato, non appena perdeva la vita, venisse immediatamente sostituito da un altro così da mantenere sempre invariato il numero totale dei componenti: altro che immortalità!
In epoca moderna ad essere definiti “les immortels” furono invece i membri dell’Academie française. Questo appellativo, legato al concetto dell’eternità garantita dalla fama letteraria, era però nato in relazione all’immortalità della lingua, la francese in quel caso.
Leopardi, in diversi passaggi dello Zibaldone, affronta il concetto di lingua immortale riferendolo al latino e, potenzialmente, all’italiano: per far sì che la nostra lingua resti immortale, afferma, è necessario lasciarle la possibilità di reinventarsi continuamente, di sfruttare la sua innata facoltà creatrice con cui può dare nuova vita a vocaboli vecchi e crearne di nuovi. Come non pensare a quel petaloso che suscitò, qualche anno fa, così tanto rumore…
Per il poeta, la nobiltà e l’eleganza dell’aggettivo immortale risiedono in quell’idea di eternità che si percepisce anche solo a un primo ascolto: il prefisso -in, negando il concetto di mortalità, apre all’illimitato.
Abbiamo visto che immortale è, tradizionalmente, la divinità, ma che può esserlo anche una lingua oppure quella gloria che riesce a valicare i limiti del tempo. Per molte tradizioni filosofiche e religiose invece ciò che di umano può essere immortale è solo l’anima, quella “ospite e compagna del corpo” come la definì l’imperatore Adriano nel suo celebre epitaffio: