Aurale

au-rà-le

Significato Nel primo caso, relativo all’aura quale brezza, vento leggero, o quale trama di suggestione; nel secondo, che riguarda l’orecchio e la sua percezione

Etimologia nel primo caso, da aura, uguale in latino dal greco áura ‘soffio’; nel secondo, dal latino auris ‘orecchio’.

Attenzione alta: qui dentro ci sono un sacco di cose interessanti, ma è un nodo pieno di bandoli da trovare. Parole diverse si contendono la medesima forma, e non solo: all’interno della stessa parola significati generici o specialistici differenti tentano di affermarsi sopra gli altri. Ci si sommano influenze straniere e ricercatezze letterarie, riferimenti antichissimi e moderni. Iniziamo a dipanare.

L’aurale può essere un derivato di ‘aura’, e risulta così una parola capace di comunicare un ricco tessuto d’impressioni. Può riferirsi a brezze e venti leggeri, e quindi potremmo parlare delle dolcezze aurali che godiamo sul belvedere, dei fruscii aurali che attraversano le fronde; ma per ‘aura’, come sappiamo bene anzi meglio, si intende anche la trama magica e ricca di suggestioni che caratterizza un'atmosfera. Così possiamo parlare delle raffinatezze aurali trovate nel romanzo che non bada troppo al realismo, all’intenso studio aurale compiuto dall’artista per l’installazione. Spostandoci su un versante più tecnico, medico, esistono anche aure meno simpatiche, come quelle epilettiche e quelle dell’emicranie — e anche di questo può parlare l’aurale.

Quadro articolato eppure non complesso, ma adesso arriva la parte più sofisticata.
‘Aurale’ è anche ciò che afferisce all’udito — più precisamente ciò che è relativo all’orecchio o è percepito dall’orecchio (auris in latino). Qui ci può parere di vedere diversi piedi che cercano di entrare nella stessa scarpa — anche per effetto dell’esperienza composita dell’aural inglese.

Se lo intitola il lessico scientifico, quando parla ad esempio dell’elaborazione dell’informazione aurale, o di patologie aurali. Qui il suo riguardare l’orecchio è del tutto piano.
Ma è anche un termine di prospettiva filologica, che individua un concetto particolarmente interessante: la trasmissione aurale di un testo, una cultura aurale ci raccontano la tradizione orale di opere che però vivono anche per iscritto. Un significato di una certa complessità: l’auralità non è semplicemente la controparte ricettiva dell’oralità, non ci proietta in un passato remoto irrecuperabile in cui tutta la comunicazione (o quasi) passava da bocca a orecchio; fotografa un particolare momento culturale e comunitario in cui la parola scritta non ha attratto e inchiodato a sé le manifestazioni di un testo, nel silenzio della lettura: questo, per quanto scritto, continua ad essere comunicato oralmente. Si può considerare cultura aurale quella greca fino al IV secolo a.C., che ad esempio aveva già fissato nero su bianco i canoni omerici senza però mandare in pensione i rapsodi; ma possiamo anche parlare della dimensione aurale di proverbi e ricette che raccogliamo e trasmettiamo bocca-orecchio, anche se da qualche parte sono raccolti e appuntate; della dimensione aurale di filastrocche, canzoni, poesie. Questo, forse, è il più sofisticato, particolare e utile fra i significati di questo termine.

Poi certo, questo aurale può anche essere altro, e c’è chi lo vuole contrapposto all’immagine in analogia alla contrapposizione dell’orale con lo scritto, ma non sono usi consolidati — senza contare che l’aurale può semplicemente essere un termine letterario e aulico per indicare ciò che è relativo alla percezione dell’orecchio, e quindi magari possiamo parlare della finezza aurale che fa cogliere all’amica una minuscola stonatura, della particolare riuscita aurale di un verso.

Dipanate due splendide parole e tante accezioni carismatiche, possiamo solo notare la paciosità con cui lessico scientifico di varia estrazione, lessico letterario e aulico finiscono per pescare dalla stessa tradizione, in cerca degli stessi termini latini — come quando condividiamo chiacchierando un cesto di fichi.

Parola pubblicata il 04 Novembre 2023