SignificatoMedicamento che favorisce l’espulsione di gas intestinali
Etimologia voce dotta recuperata dal latino medievale carminativus, da carminare nel senso ‘cardare la lana’, o secondo certe fonti nel senso di ‘esorcizzare’.
Che profondissima grazia.
Il carminativo ci porta a considerare qualcosa di letteralmente viscerale, ora coperto da ampi velari di pudore, ora motivo di riso, triviale ma eterno. Lo considera in maniera diretta e con un’aura distinta, di tratto medico, questo è chiaro; però lo fa senza attingere a grecismi scientifici che tagliano anatomicamente i fenomeni. Racconta una funzione attraverso figure profondamente radicate nella tradizione antica — per quanto l’etimo sia dibattuto.
Oggi si dice carminativo quel medicamento che favorisce la riduzione, l’eliminazione, l’espulsione di gas intestinali in eccesso — come questa parola stessa ci testimonia, lo sgombero dell’intestino è un problema atavico. Finocchio, anice, cumino, carbone vegetale sono eminenti carminativi, ad esempio. Ma in passato è stata una categoria che si poteva avvicinare anche al purgante in genere. Resta da capire da dove salta fuori questo ‘carminativo’.
Ci sono due ricostruzioni possibili, sostenute entrambe con contrapposto vigore da fonti degne di credito, che scaturiscono dall’esistenza, in latino, di due verbi carminare.
Il primo significa ‘cardare’, riferito alla lana. Ma che c’entrerà mai la lavorazione della lana con i venti del sud, ci si potrebbe domandare — ed è una domanda normale specie se non si ha bene in mente che cosa sia la cardatura. È la fase di pettinatura della lana, di rimozione di nodi e di impurità — di purga della lana. Il carminativo che assumiamo rassetta, pettina un groppo lordo, lo rende filante, netto e docile, e dà una sensazione finale di leggerezza. Un’analogia di lavoro che fa presa sulla realtà delle nostre sensazioni in maniera sorprendente: la mente collettiva della lingua è la più grande e longeva poeta che esista.
L’altro carminare latino è quello che si aggancia al carmen, canto, poesia e incantesimo. No, il riferimento non è a un canto intonato dabbasso: questo carminare è un ‘esorcizzare’, e ci propone la superstizione tradizionale di uno scongiuro anti-peti, di un incanto placa-venti, di un abracadabradeflatulenzizzante. Ora, le fonti etimologiche non ci fanno il favore di documentare questi scongiuri e questi incanti (che annoteremmo volentieri); anzi mostrano una pudicizia sconveniente, riferendo come si credeva che gli incantesimi fossero efficaci contro i dolori. Probabilmente è più plausibile il riferimento alla cardatura.
Resta un esempio sinceramente mirabile di come le parole ci permettano di parlare in maniera netta ed eloquente, precisa e ricca — e senz’altro rappresenta tanto una risorsa di discrezione, quanto un’occasione curiosa di comprensione di com’è che funzioni mediche, sensazioni fisiche ed esperienze condivise possano essere colte in una singola parola.
Che profondissima grazia.
Il carminativo ci porta a considerare qualcosa di letteralmente viscerale, ora coperto da ampi velari di pudore, ora motivo di riso, triviale ma eterno. Lo considera in maniera diretta e con un’aura distinta, di tratto medico, questo è chiaro; però lo fa senza attingere a grecismi scientifici che tagliano anatomicamente i fenomeni. Racconta una funzione attraverso figure profondamente radicate nella tradizione antica — per quanto l’etimo sia dibattuto.
Oggi si dice carminativo quel medicamento che favorisce la riduzione, l’eliminazione, l’espulsione di gas intestinali in eccesso — come questa parola stessa ci testimonia, lo sgombero dell’intestino è un problema atavico. Finocchio, anice, cumino, carbone vegetale sono eminenti carminativi, ad esempio. Ma in passato è stata una categoria che si poteva avvicinare anche al purgante in genere. Resta da capire da dove salta fuori questo ‘carminativo’.
Ci sono due ricostruzioni possibili, sostenute entrambe con contrapposto vigore da fonti degne di credito, che scaturiscono dall’esistenza, in latino, di due verbi carminare.
Il primo significa ‘cardare’, riferito alla lana. Ma che c’entrerà mai la lavorazione della lana con i venti del sud, ci si potrebbe domandare — ed è una domanda normale specie se non si ha bene in mente che cosa sia la cardatura. È la fase di pettinatura della lana, di rimozione di nodi e di impurità — di purga della lana. Il carminativo che assumiamo rassetta, pettina un groppo lordo, lo rende filante, netto e docile, e dà una sensazione finale di leggerezza. Un’analogia di lavoro che fa presa sulla realtà delle nostre sensazioni in maniera sorprendente: la mente collettiva della lingua è la più grande e longeva poeta che esista.
L’altro carminare latino è quello che si aggancia al carmen, canto, poesia e incantesimo. No, il riferimento non è a un canto intonato dabbasso: questo carminare è un ‘esorcizzare’, e ci propone la superstizione tradizionale di uno scongiuro anti-peti, di un incanto placa-venti, di un abracadabra deflatulenzizzante. Ora, le fonti etimologiche non ci fanno il favore di documentare questi scongiuri e questi incanti (che annoteremmo volentieri); anzi mostrano una pudicizia sconveniente, riferendo come si credeva che gli incantesimi fossero efficaci contro i dolori. Probabilmente è più plausibile il riferimento alla cardatura.
Resta un esempio sinceramente mirabile di come le parole ci permettano di parlare in maniera netta ed eloquente, precisa e ricca — e senz’altro rappresenta tanto una risorsa di discrezione, quanto un’occasione curiosa di comprensione di com’è che funzioni mediche, sensazioni fisiche ed esperienze condivise possano essere colte in una singola parola.