Etimologia dal veneziano gransiporo, composto di granso ‘granchio’, derivato dal latino cancer, e poro ‘paguro’, derivato dal greco páguros.
Questa parola vive una sorte peculiare. Infatti, bontà sua, è citata spesso e volentieri come parola desueta ‘da salvare’, in affreschi che cercano sempre di dipingere la lingua italiana come un castello di sabbia che sta smottando. La realtà è ben diversa — e qui vedremo virtù e limiti del granciporro.
Egli è un granciporro, o Cancer pagurus (in una foto di Hans Hillewaert). Si tratta di un granchione di mare, europeo, specie delle coste atlantiche, e suo davvero malgrado è considerato una specialità ittica prelibata dai gourmand del continente. Perciò rileviamo subito che il suo nome non è un termine desueto, essendo corrente e usato in pescherie e ristoranti, almeno. Però ha qualcosa di fortemente antiquato, no?
Ebbene, questo suo nome, emerso in lingua veneziana come gransiporo, è frutto della composizione del nome del granchio e quello del paguro. Che quel ‘granci’ parli di un ‘granchio’ non ci stupisce; è invece curioso che quel ‘poro’ prima e ‘porro’ poi sia un’alterazione del greco páguros (letteralmente codaroccia). Il dato interessante è che ‘granciporro’ è tratto da questo binomio nel Cinquecento, mentre sarà solo nel corso del Settecento che Carlo Linneo ordinerà la tassonomia del ‘Sistema della Natura’ con binomi latini, e il suo sarà mantenuto come Cancer pagurus. Peraltro è un nome che al nostro orecchio suona piuttosto fuorviante, non solo per l’abbaglio del ‘porro’, ma anche perché questo simpatico crostaceo decapode non è parente stretto del paguro: il granciporro è un granchio, il paguro no.
Ora, ‘granciporro’ può anche essere usato, con un gusto altamente rétro, per significare l’errore madornale, l’abbaglio, lo strafalcione. In effetti, è giusto un sinonimo di ‘granchio’ nella locuzione ‘prendere un granchio’. Dopo aver realizzato che mi sono arrabbiato con la persona sbagliata, posso scusarmi per il gran granciporro che ho preso, posso notare che il sussiegoso commentatore della notizia ha preso un granciporro per la fretta di esprimersi, ma posso anche dire di essermi accorto del granciporro e di essermi corretto appena in tempo.
Resta da capire perché questi crostacei siano attratti nella sfera semantica dell’errore — ma pare sia un antico e semplice uso di mare, per cui pescando ti sembra che abbia abboccato chissà che pesce e invece è un granchio furibondo che ti straccia la lenza. Hai preso un granchio, o un granciporro.
La simpatia della parola è una virtù di grande valore. Scusarsi per un granciporro mette sulla tavolozza della nostra espressività il tono prezioso del ridicolo. D’altra parte è un termine che, seppur non desueto in quanto termine specifico, non è diffuso, e può non essere compreso, e dar segno di affettazione.
Questa parola vive una sorte peculiare. Infatti, bontà sua, è citata spesso e volentieri come parola desueta ‘da salvare’, in affreschi che cercano sempre di dipingere la lingua italiana come un castello di sabbia che sta smottando. La realtà è ben diversa — e qui vedremo virtù e limiti del granciporro.
Egli è un granciporro, o Cancer pagurus (in una foto di Hans Hillewaert). Si tratta di un granchione di mare, europeo, specie delle coste atlantiche, e suo davvero malgrado è considerato una specialità ittica prelibata dai gourmand del continente. Perciò rileviamo subito che il suo nome non è un termine desueto, essendo corrente e usato in pescherie e ristoranti, almeno. Però ha qualcosa di fortemente antiquato, no?
Ebbene, questo suo nome, emerso in lingua veneziana come gransiporo, è frutto della composizione del nome del granchio e quello del paguro. Che quel ‘granci’ parli di un ‘granchio’ non ci stupisce; è invece curioso che quel ‘poro’ prima e ‘porro’ poi sia un’alterazione del greco páguros (letteralmente codaroccia). Il dato interessante è che ‘granciporro’ è tratto da questo binomio nel Cinquecento, mentre sarà solo nel corso del Settecento che Carlo Linneo ordinerà la tassonomia del ‘Sistema della Natura’ con binomi latini, e il suo sarà mantenuto come Cancer pagurus. Peraltro è un nome che al nostro orecchio suona piuttosto fuorviante, non solo per l’abbaglio del ‘porro’, ma anche perché questo simpatico crostaceo decapode non è parente stretto del paguro: il granciporro è un granchio, il paguro no.
Ora, ‘granciporro’ può anche essere usato, con un gusto altamente rétro, per significare l’errore madornale, l’abbaglio, lo strafalcione. In effetti, è giusto un sinonimo di ‘granchio’ nella locuzione ‘prendere un granchio’. Dopo aver realizzato che mi sono arrabbiato con la persona sbagliata, posso scusarmi per il gran granciporro che ho preso, posso notare che il sussiegoso commentatore della notizia ha preso un granciporro per la fretta di esprimersi, ma posso anche dire di essermi accorto del granciporro e di essermi corretto appena in tempo.
Resta da capire perché questi crostacei siano attratti nella sfera semantica dell’errore — ma pare sia un antico e semplice uso di mare, per cui pescando ti sembra che abbia abboccato chissà che pesce e invece è un granchio furibondo che ti straccia la lenza. Hai preso un granchio, o un granciporro.
La simpatia della parola è una virtù di grande valore. Scusarsi per un granciporro mette sulla tavolozza della nostra espressività il tono prezioso del ridicolo. D’altra parte è un termine che, seppur non desueto in quanto termine specifico, non è diffuso, e può non essere compreso, e dar segno di affettazione.