Imprevisto
im-pre-vì-sto
Significato Non previsto, inatteso; improvviso; evento non prevedibile
Etimologia composto di in- negativo e previsto, participio passato di prevedere, che è dal latino praevidere, composto di prae- ‘prima, avanti’ e videre ‘vedere’.
Parola pubblicata il 01 Maggio 2017
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
La storia di questa semplice parola nasconde una circostanza sorprendente: è attestata in italiano solo nella seconda metà del XIX secolo (fino ad allora si diceva piuttosto ‘impreveduto’).
Vive sia some aggettivo, sia come sostantivo. Nel primo caso descrive ovviamente il carattere di qualcosa che non è stato previsto, e che quindi giunge inatteso. Tale carattere si attaglia sia a quelle occorrenze che con la dovuta diligenza potevano essere normalmente previste sia a quelle eccezionali - e in questo senso l’imprevisto si stringe al suo fratello ‘improvviso’ (che è dal latino ‘improvisus’, composto di ‘in-’ e il participio passato di ‘providere’). Così possiamo parlare dell’adempimento burocratico imprevisto, del guasto imprevisto dell’auto nuova, dell’ospite imprevisto.
Come sostantivo diventa essenzialmente il contrattempo, ma più in generale resta l’incidenza che sorprende. Come scordare il direttore del circo di Dumbo, che vuole coronare il numero della sua piramide di pachidermi con “l’imprevisto”?
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(E. Montale, Prima del viaggio)
Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni [….] si scambiano valute,
[….] si controllano valigie e passaporti […]
E poi si parte e tutto è OK e tutto
è per il meglio e inutile.
E ora che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
che è una stoltezza dirselo.
L’imprevisto è la bestia nera del viaggiatore: bagagli smarriti, maltempo, e fastidi anche peggiori sono sempre in agguato. E infatti Montale elenca ironicamente i preparativi del viaggiatore-tipo: quasi dei riti propiziatori, che cercano di arginare l’ignoto. Il viaggio, poi, è tradizionale metafora della vita: dunque questa tendenza a programmare tutto si applica anche all’esistenza in generale.
La conclusione, però, è spiazzante: tutto va esattamente come deve andare, eppure c’è nell’aria un senso di inutilità. Il nostro viaggio – la nostra vita – procede ordinatamente sui suoi binari; e, come un treno, non si domanda dove sta andando, né quali territori si estendano ai lati del suo percorso. È una vita fine a sé stessa; e per questo si corre il rischio, a un certo punto, di scoprire che è priva di senso. certo, ne conosciamo in dettaglio gli orari e le fermate; ma, ad un livello più profondo, non ne «sappiamo nulla».
L’imprevisto ci ricorda invece che la vita è molto più grande dei nostri programmi. Di solito lo fa in modo brusco, causandoci sofferenza o quantomeno irritazione. Montale, però, risemantizza la parola in senso positivo, facendocene riscoprire un aspetto trascurato.
L’imprevisto rompe il grigiore delle nostre abitudini, in cui tutto sembra procedere per una necessità meccanica. Per un attimo si apre un “varco”: ci attraversa la fuggevole intuizione di profondità inesplorate, e ci sembra che sia possibile essere pienamente felici.
Ma forse, obietta Montale, questo non è sufficiente. forse il mondo è in effetti privo di significato, e nessun imprevisto può salvarci. Però, chissà: forse l’imprevisto ci salva senza che ce ne rendiamo conto. E magari un giorno, guardando indietro, ci accorgeremo che la nostra vita è stata come un quadro di Pollock: un’accozzaglia di eventi caotici e bizzarri, che però – nell’insieme – hanno una loro bellezza e un loro senso.