Olire
o-lì-re (io o-lì-sco)
Significato Mandare un odore gradevole
Etimologia dal latino olēre od olĕre ‘mandare odore’, con mutamento di coniugazione in ‘-ire’.
Parola pubblicata il 04 Dicembre 2017
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
Questa parola è una vera chiave di volta: ne raccorda molte altre, fondamentali, che afferiscono alla sfera dell’odore.
L’odore stesso è etimologicamente affine all’olire - che nell’originale latino, olere, aveva il senso neutro di ‘mandare odore’. L’olfatto idem, composto di olere e facere. E ovviamente anche l’olezzo scaturisce dal tema dell’olere latino. Ma, fatto curioso e del tutto arbitrario, mentre all’olezzo associamo oggi un odore sgradevole, l’olire si afferma stabilmente in italiano (con un cambio di coniugazione, da ‘-ere’ a ‘-ire’) in senso opposto, significando il mandare profumo, un odore gradevole.
Le parole rare e ricercate rivelano un’utilità speciale quando descrivono delle realtà che richiedono un certo versamento poetico. Insomma, il pregio di un profumo, per essere descritto in maniera efficace, può aver bisogno di termini che si discostino da quelli soliti: quella delle rose che profumano è un’immagine lisa. In questo senso l’olire ci si presenta come un’alternativa notevole su due fronti: se contrappone la sua finezza insolita a un profumare troppo rimasticato, la sua forma popolare non lo fa cadere nell’affettazione dell’aulire, o dell’olezzare.
Così oliscono di resina le frasche d’abete che abbiamo portato in casa, aprendo il cassetto restiamo frastornati dall’olire delle saponette, respiriamo il cuscino olente dei capelli di lei.
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(Bonvesin de la Riva, Disputatio rosae cum viola, vv. 13-20.)
Incontra la vïora, la rosa sì resona
e dise: “Eo sont plu bella e plu grand im persona,
eo sont plu odorifera e plu cortese e bona […]”
Incontra quest parolle respond la vïoleta: […]
“Ben pò stà grand tesoro in picenina archeta;
quant a la mia persona, ben sont olent e neta.”
XIII secolo: mentre in Toscana nasce la poesia amorosa, al Nord fiorisce quella moralistico-didattica. Bonvesin era appunto un grammatico milanese, e questo è forse il suo testo più simpatico: un ‘contrasto’ (in pratica un litigio) tra la rosa e la viola.
La rosa si vanta infatti di essere “più bella e grande”, nonché “più profumata, nobile e piacevole”. La violetta però risponde, piccata, che anche in un piccolo scrigno ci può stare un grande tesoro. È la versione aulica di “il vino buono sta nelle botti piccole” (un proverbio che anche mia mamma ripete volentieri, essendo ormai la ‘picenina’ della famiglia).
Inoltre la viola si descrive come “linda e profumata”. Ora, ‘olente’ (la variante popolare di aulente) è sostanzialmente sinonimo di ‘odorifera’. Tuttavia il secondo dà l’idea di un profumo penetrante, mentre il primo evoca un odore più indefinito, aleggiante sullo sfondo.
Insomma la rosa è la femme fatale della situazione, mentre la violetta è una signorina acqua e sapone. La prima frequenta solo i giardini d’alto rango, invece la seconda non disdegna di nascere anche sui fossati, a rischio di essere calpestata per distrazione. La sua bellezza è più discreta, ma più generosa; e, se il profumo della rosa può stordire, quello della viola accarezza chi le passa accanto, portando in sé l’annuncio della primavera.
Così, con buona pace della rosa, la violetta è incoronata regina del giardino. E tale vittoria ha anche una sfumatura socio-politica: Bonvesin infatti era uno strenuo difensore dei comuni, e preferiva la laboriosità dei borghesi all’eroismo nobiliare.
Del resto, spesso le virtù più belle sono davvero le meno evidenti. La generosità nel regalare un sorriso a tutti; la pazienza quando le cose non vanno nel verso giusto; la sollecitudine nell’aiutare gli altri prima ancora che lo chiedano. Sono virtù piccine, da violetta. Ma sono proprio loro a diffondere tra gli uomini un profumo “allegro e confortoso” (v. 242).