Pappagallo
pap-pa-gàl-lo
Significato Uccello appartenente all’ordine degli Psittaciformi, che conta circa 350 specie
Etimologia dal greco bizantino papagas, derivato dall’arabo babagha, modificato per influsso di “gallo”.
Parola pubblicata il 14 Marzo 2022
Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti
Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.
Sono i chiacchieroni per eccellenza, i pappagalli. Non per nulla “cocorita” viene dallo spagnolo cotorrera, donna chiacchierona, a sua volta derivato da cotarro, albergo notturno per vagabondi. Per inciso la faccenda si fa ancor più divertente se continuiamo a seguire il filo dell’etimologia: cotarro nasce da coto, terreno delimitato, che viene dal latino cautum, disposizione di legge, che deriva da cautus, cauto. Per cui la cautela è imparentata coi cocoriti: gli arzigogoli della lingua sono meravigliosi.
Simpatica è anche l’origine dell’inglese parrot (connesso al nostro “parrocchetto”). Si tratta probabilmente di un’evoluzione di Pierrot, diminutivo di Pierre, il che testimonia quanto i pappagalli ci appaiano vicini a noi; e la cosa non sorprende, dato che alcuni di loro riescono perfino a imitare la nostra voce.
Sul come facciano gli scienziati si sono scervellati per un po’, anche perché gli uccelli non possiedono corde vocali. Suppliscono, tuttavia, con la siringe: un organo fatto di anelli di cartilagine, che nei pappagalli ha una struttura particolarmente mobile e complessa. Inoltre, sebbene tutti gli uccelli abbiano una zona cerebrale preposta al canto, nei pappagalli c’è uno strato in più; per questo riescono a fare suoni così elaborati.
Quanto al perché lo facciano, la spiegazione di base è che sono animali sociali, perciò sanno istintivamente che, per sopravvivere, devono poter comunicare con il proprio stormo... anche se è fatto di umani. Per esempio all’Università della Georgia hanno verificato che un pappagallo domestico, Cosmo, in assenza della padrona ripeteva insistentemente: “Io sono qui. Tu dove sei?”. L’equivalente, insomma, dei richiami che gli uccelli si lanciano in natura per non perdersi.
C’è da dire che spesso le parole dei pappagalli appaiono casuali; da qui l’espressione “ripetere a pappagallo”, ossia senza capire ciò che si dice (in una parola “psittacismo”). Molto dipende, però, da come vengono allevati. Alex era un famosissimo pappagallo cenerino che per trent’anni fu addestrato da una ricercatrice universitaria, Pepperberg: imparò a identificare cinquanta oggetti, sette colori, sei forme, otto numeri. In pratica se gli aveste chiesto: “Quanti quadrati rossi ci sono in questo disegno?” avrebbe saputo rispondervi. Addirittura arrivò a forgiare dei neologismi; la mela, per esempio, la chiamava “bannery” (banana + cherry), probabilmente perché gli ricordava il gusto di una banana e la forma di una grossa ciliegia.
Ciò non toglie che i pappagalli – come pure altri uccelli – possano imitare i suoni altrui per scopi diversi, anche senza capirne il senso. A Sydney per esempio alcuni pappagalli selvatici hanno appreso da quelli domestici ad apostrofare i passanti con “Ciao, come stai?”, forse per il puro divertimento di far saltare la gente per aria. Si suppone inoltre che, in certi casi, l’abilità nell’imitazione aiuti a confondere i predatori o a conquistare le femmine, giacché alcune di loro apprezzano nei maschi non solo l’aspetto fisico, ma anche l’ampiezza e precisione del loro “lessico”.
Talvolta poi questa dote può rivelare applicazioni ancor più inaspettate, come nell’episodio capitato all’esploratore Alexander Von Humboldt (sebbene alcuni lo ritengano una leggenda). Ospite d’un villaggio dell’America Latina, l’illustre naturalista s’accorse che uno dei pappagalli domestici parlava in modo diverso dagli altri. Gli spiegarono che era appartenuto a una tribù rivale ormai estinta, la cui cultura si era del tutto persa. Lo studioso allora trascrisse diligentemente le parole pronunciate dal pappagallo, riuscendo così a strappare all’oblio un brandello di quella lingua fantasma.