SignificatoNel parlare, ostentare superiorità in maniera saccente e magniloquente; celebrare il pontificale, liturgia vescovile
Etimologia dal latino pontifex ‘pontefice’.
Il vicino di casa non perde occasione per pontificare su questioni di attualità di cui non sa niente; all’indomani della giornata decisiva, da ogni pagina di giornale ci sono penne che pontificano spiegando l’inevitabile perché e percome; e la discussione si arena sulla sua tendenza a pontificare piuttosto che a dialogare.
È un termine raffinato, ed estremamente rappresentativo di un certo modo di parlare — che è rilevante saper riconoscere e nominare. In questa maniera c’è sussiego e lingua magniloquente, una misura monologante di disinteresse rispetto a posizioni e interventi altrui, un atteggiamento saccente e una fondamentale presunzione. Ora, l’origine di questa figura tronfia del pontificare è pastorale, ecclesiastica, di tempi relativamente nostri — ma il riferimento etimologico, per essere inteso, ci richiede di risalire molto indietro nel tempo.
Sappiamo che oggi il titolo di ‘pontefice’, o ‘sommo pontefice’, è riservato al papa. E magari abbiamo conservato la nozione isolata che i pontefici ci fossero anche nell’antica Roma. Come da quelli si arrivi a questo, però, è meno noto.
L’istituzione del collegio dei pontefici è fatta risalire tradizionalmente al secondo re di Roma, Numa Pompilio: questi sacerdoti avevano un ruolo abbastanza variegato, con poteri più strettamente religiosi e altri che invece riconduciamo a una sfera giuridica, addirittura burocratica — dalla soprintendenza al culto pubblico e privato, a una certa giurisdizione, alla compilazione degli elenchi dei magistrati, alla stesura dei calendari. L’istituto mutò in epoca imperiale (fra l’altro il ruolo di pontefice massimo, capo del collegio, spettò di diritto all’imperatore), e ben presto si trovò fuori dallo spirito del tempo: quella dei pontefici era una carica pagana.
Soltanto dopo diversi secoli, quando ormai i sacerdoti dei culti pagani erano un ricordo sbiadito (parliamo del V secolo), il nome di pontefice fu ripreso, spolverato e usato brillantemente per riferirsi ai vescovi (anche l’istituto del papato non è sempre stato come lo intendiamo oggi, ma sorvoliamo). Il pontificale divenne così ciò che si riferiva ai vescovi o al papa, e in particolare la cerimonia celebrata dal vescovo o da un alto prelato, con appunto paramenti pontificali. ‘Pontificare’ è innanzitutto celebrare tale pontificale. Ci possiamo immaginare il seguito: il popolo (che ai potenti ha sempre risparmiato poco) prende tale figura ingessata in rigidi velluti con veli di seta trapunti d’oro che parla una lingua arcana — insieme fascinosa e puzzona — pronunciando il vero e il santo e avendo gran ragione, e fa del pontificare un parlare magniloquente saccente presuntuoso.
Ad ogni modo, col tempo il riferimento episcopale è venuto meno, e pontefice è rimasto il papa, a continuare nei soliti luoghi gli uffici di colleghi d’altra scuola di millenni fa. Già però anche quelli là non erano mica un’invenzione fresca.
Questo fatto del ‘ponte’ legato nel titolo del pontefice è spesso liquidato dicendo che a Roma questo collegio, fra le altre cose, aveva anche la presidenza del restauro del ponte Sublicio — il primo fondamentale pontazzo di legno costruito sul Tevere. In realtà è improbabile che il nome scaturisca da questa contingenza (anche perché il ponte è decisamente posteriore). Sono state fatte ipotesi d’ogni tipo, anche che il titolo di pontefice risalga a quando la gente viveva sulle palafitte e allora ogni stradella di assi era un ponte; ma l’ipotesi più solida, visti i confronti fra figure analoghe con nomi analoghi fra India ed Europa, è che il pontefice sia un’eredità sacerdotale indoeuropea: il ponte a cui si riferisce è quello fra le cose terrene e le cose celesti, fra immanente e trascendente, fra esseri umani e divinità. Un costruttore di ponti con le chiavi del cielo, che ha migrato a cavallo nelle steppe e che a Roma si è trovato bene.
Il vicino di casa non perde occasione per pontificare su questioni di attualità di cui non sa niente; all’indomani della giornata decisiva, da ogni pagina di giornale ci sono penne che pontificano spiegando l’inevitabile perché e percome; e la discussione si arena sulla sua tendenza a pontificare piuttosto che a dialogare.
È un termine raffinato, ed estremamente rappresentativo di un certo modo di parlare — che è rilevante saper riconoscere e nominare. In questa maniera c’è sussiego e lingua magniloquente, una misura monologante di disinteresse rispetto a posizioni e interventi altrui, un atteggiamento saccente e una fondamentale presunzione. Ora, l’origine di questa figura tronfia del pontificare è pastorale, ecclesiastica, di tempi relativamente nostri — ma il riferimento etimologico, per essere inteso, ci richiede di risalire molto indietro nel tempo.
Sappiamo che oggi il titolo di ‘pontefice’, o ‘sommo pontefice’, è riservato al papa. E magari abbiamo conservato la nozione isolata che i pontefici ci fossero anche nell’antica Roma. Come da quelli si arrivi a questo, però, è meno noto.
L’istituzione del collegio dei pontefici è fatta risalire tradizionalmente al secondo re di Roma, Numa Pompilio: questi sacerdoti avevano un ruolo abbastanza variegato, con poteri più strettamente religiosi e altri che invece riconduciamo a una sfera giuridica, addirittura burocratica — dalla soprintendenza al culto pubblico e privato, a una certa giurisdizione, alla compilazione degli elenchi dei magistrati, alla stesura dei calendari. L’istituto mutò in epoca imperiale (fra l’altro il ruolo di pontefice massimo, capo del collegio, spettò di diritto all’imperatore), e ben presto si trovò fuori dallo spirito del tempo: quella dei pontefici era una carica pagana.
Soltanto dopo diversi secoli, quando ormai i sacerdoti dei culti pagani erano un ricordo sbiadito (parliamo del V secolo), il nome di pontefice fu ripreso, spolverato e usato brillantemente per riferirsi ai vescovi (anche l’istituto del papato non è sempre stato come lo intendiamo oggi, ma sorvoliamo). Il pontificale divenne così ciò che si riferiva ai vescovi o al papa, e in particolare la cerimonia celebrata dal vescovo o da un alto prelato, con appunto paramenti pontificali. ‘Pontificare’ è innanzitutto celebrare tale pontificale. Ci possiamo immaginare il seguito: il popolo (che ai potenti ha sempre risparmiato poco) prende tale figura ingessata in rigidi velluti con veli di seta trapunti d’oro che parla una lingua arcana — insieme fascinosa e puzzona — pronunciando il vero e il santo e avendo gran ragione, e fa del pontificare un parlare magniloquente saccente presuntuoso.
Ad ogni modo, col tempo il riferimento episcopale è venuto meno, e pontefice è rimasto il papa, a continuare nei soliti luoghi gli uffici di colleghi d’altra scuola di millenni fa. Già però anche quelli là non erano mica un’invenzione fresca.
Questo fatto del ‘ponte’ legato nel titolo del pontefice è spesso liquidato dicendo che a Roma questo collegio, fra le altre cose, aveva anche la presidenza del restauro del ponte Sublicio — il primo fondamentale pontazzo di legno costruito sul Tevere. In realtà è improbabile che il nome scaturisca da questa contingenza (anche perché il ponte è decisamente posteriore). Sono state fatte ipotesi d’ogni tipo, anche che il titolo di pontefice risalga a quando la gente viveva sulle palafitte e allora ogni stradella di assi era un ponte; ma l’ipotesi più solida, visti i confronti fra figure analoghe con nomi analoghi fra India ed Europa, è che il pontefice sia un’eredità sacerdotale indoeuropea: il ponte a cui si riferisce è quello fra le cose terrene e le cose celesti, fra immanente e trascendente, fra esseri umani e divinità. Un costruttore di ponti con le chiavi del cielo, che ha migrato a cavallo nelle steppe e che a Roma si è trovato bene.