Presentimento
pre-sen-ti-mén-to
Significato Vago presagio, sensazione anticipata e confusa
Etimologia da presentire, derivato di sentire con prefisso pre- ‘prima’.
Parola pubblicata il 28 Gennaio 2022
Dino Buzzati, le parole e i disegni - con Lucia Masetti
Celebriamo il cinquantesimo anniversario della morte di Dino Buzzati, scrittore, pittore, giornalista — uno degli autori che amiamo di più — con una settimana di pubblicazioni a tema, col patrocinio dell’Associazione Internazionale Dino Buzzati.
Il sentire non è sempre netto, e non riusciamo sempre a ricondurlo a una precisa percezione. In particolare, a volte una nebulosa di sensazioni sembra non raccontarci qualcosa di attuale, ma anticiparci ciò che verrà: non è divinazione superna, è sospetto animale, terragno — del bene e del male. Ciò nondimeno, ha un certo profilo da presagio. Questo sentire è il presentimento. Concetto eterno, ma curiosamente il suo nome è appena settecentesco, in italiano, ricostruito sull’antico presentire, probabilmente col modello del francese pressentiment.
La forza rappresentativa di questa parola sta in ciò che non dice. È sospesa in un’imminenza attuale ma sigillata nel futuro. I sentimenti e le sensazioni che proviamo possono avere forme criptiche, indecifrabili, difficili da mettere in parole — questo lo sappiamo bene. Però il presentimento è intrinsecamente un non-so-che.
Può essere un presagio che investe una proiezione precisa, come quando prima della partita di calcetto ho il presentimento che mi salterà il ginocchio, o come quando nelle giornate assolate d’inverno abbiamo il presentimento della primavera; può anche essere l’ombra muta di un presagio, come quando abbiamo un estemporaneo buon presentimento, o come quando strani presentimenti si avvicendano nell’aria. In ogni caso, la sua consistenza, la sua ragione, il suo contorno attuale permane in una confusa vaghezza — refrattario ai perché, alle appercezioni. Sente prima di poter sentire: è una finestra sul grande magma prelinguistico che abbiamo dentro, sopra cui galleggia la crosta dei nostri discorsi.
Il fascino di una parola può stare nella capacità di evocare qualcosa con nitore, ma la nostra esperienza si estende ampiamente negli spazi del vago.
Una cosa Buzzati sapeva per certo: che vivere significa aspettare. L’istante presente ci va stretto, è nel futuro che ci piace abitare, tutti tesi… verso che cosa? Bella domanda. Verso qualcosa che presentiamo, che getta ovunque la sua luce e la sua ombra; eppure non sappiamo cosa sia.
Forse, pensa il giovane Buzzati, è la gloria. È un «presentimento di cose nobili e grandi» che trattiene Drogo nella fortezza del Deserto dei tartari: un’oscura speranza di poter esprimere appieno il proprio valore, molto vicina alla volontà di realizzazione professionale o sportiva (Buzzati era un giornalista ambizioso e un appassionato d’alpinismo).
Ma poi Buzzati si innamora. È un sentimento tutto sbagliato, come racconta nel suo semi-autobiografico romanzo. Però gli apre un’intuizione nuova: ogni bellezza è tale perché implica un’attesa d’amore. Restiamo affascinati da un tramonto, un quadro o un borgo perché racchiudono un’allusione alla “creatura che ci potrebbe fare felici”. Ed è il desiderio di amare ed essere amati che ci muove in tutto quel che facciamo. Persino (scrive Buzzati) le “vecchie befane” che coscienziosamente visitano in tour musei e cattedrali vanno inseguendo, senza saperlo, quel presentimento.
È la stessa idea di quel famoso quadro di Klimt, L’albero della vita: da un lato c’è l’Attesa, una fanciulla vestita di triangoli appuntiti, dall’altro l’Abbraccio, avvolto dalla soddisfatta rotondità dei cerchi; e nel mezzo i rami arricciolati della vita. Tutto si riassume qui: in un’attesa che si protende verso l’ignoto e in un amore imprevisto e totale che la compie.
E se però l’attesa non si compie? Questa è la grande angoscia di Buzzati. Questo è il grande rischio della vita: che il nostro correre non porti da nessuna parte, che non ci sia nessun amore ad aspettarci. Poi il fatto stesso che si debba morire non vuol forse dire che tutte le attese sono deluse in partenza? Che la morte è l’unica vera meta del viaggio?
È un pensiero che accompagna Buzzati sin dall’inizio, ma non sempre è un pensiero angoscioso. Perché resta il dubbio che proprio nella morte stia il compimento dell’attesa, che la gloria e l’amore siano entrambi al di là della misteriosa soglia. Questo è il presentimento ultimo che Buzzati ci consegna, come il principe viaggiatore dei Sette messaggeri: “Una speranza nuova mi trarrà domattina ancora più avanti, verso quelle montagne inesplorate che le ombre della notte stanno occultando.”