Etimologia derivato di rimostrante, participio presente di rimostrare, da mostrare, che è dal latino monstrare ‘indicare’, da monstrum ‘segno’, con prefisso ri-.
Non degniamo di un pensiero il fatto che tutte le nostre rimostranze — secondo l’etimologia — mostrino qualcosa. In effetti la rimostranza si è fatta sempre meno trasparente, e oggi facciamo fatica a percepire il ‘mostrare’ che contiene.
Per dire quanto sia stata strettamente legata al mostrare, notiamo che la rimostranza è anche stata la dimostrazione — un’indicazione stringente, logicamente ineludibile: in passato avrei potuto parlare della rimostranza dell’errore, della rimostranza di un fatto, di una rimostranza di onore. Oggi però è una protesta motivata per un torto subito.
Il prefisso ri- ci parla di una ripetizione, e nel caso di una rimostranza cerca di rendere persuasivo l’argomento per cui si dissente dal pensiero o dalle azioni altrui.
La sua sottigliezza è formidabile, e la rende unica: infatti su questo campo insistono molte altre parole, ma sono tutte parole o aspre o lagnose o burocratiche. Il reclamo? Scartoffie. La querela? Scartoffie peggiori. Le lamentele? Lagne. Doglianze? Mal di pancia. Le lagnanze? Nemmeno a dirlo. Le proteste? Grida. Le contestazioni? Grida forse appena più ordinate. Le recriminazioni? Grida lagnose. Le rimostranze...?
Le rimostranze (quasi sempre al plurale) sono composte. Non sono rumorose. E non sono querule: sono articolate e ponderate. Inoltre il loro nome è proprio di un registro abbastanza alto, ma non è propriamente tipico di diritto e burocrazia. Senza contare che (forse anche grazie a questo equilibrio?) le rimostranze hanno sostanzialmente ragione.
Contestano in maniera rispettosa un comportamento ingiusto — anche calato dall’alto, anche di un’autorità. La vena di riconoscimento, o addirittura di ossequio che le attraversano conserva aperto il dialogo, il rapporto. È particolarmente interessante notare che la rimostranza proceda etimologicamente dal ‘rimostrante’: la rimostranza è molto umana, molto personale.
Posso parlare delle rimostranze della cittadinanza davanti alla decisione di stravolgere la viabilità, delle rimostranze della classe quando la professoressa fissa la data del compito in classe, delle rimostranze adombrate dai vicini di casa alla terza festa che diamo in tre giorni, anche se li invitiamo sempre.
È una parola posata, equilibrata, che arriva dove deve arrivare: ha la forza della ragione, di un’esplicazione che mostra e rimostra in maniera paziente e circostanziata. Anche se dentro, forse, c’è anche un po’ di rassegnazione: la rimostranza è fondata e determinata, ma non accanita, né potente.
Non degniamo di un pensiero il fatto che tutte le nostre rimostranze — secondo l’etimologia — mostrino qualcosa. In effetti la rimostranza si è fatta sempre meno trasparente, e oggi facciamo fatica a percepire il ‘mostrare’ che contiene.
Per dire quanto sia stata strettamente legata al mostrare, notiamo che la rimostranza è anche stata la dimostrazione — un’indicazione stringente, logicamente ineludibile: in passato avrei potuto parlare della rimostranza dell’errore, della rimostranza di un fatto, di una rimostranza di onore. Oggi però è una protesta motivata per un torto subito.
Il prefisso ri- ci parla di una ripetizione, e nel caso di una rimostranza cerca di rendere persuasivo l’argomento per cui si dissente dal pensiero o dalle azioni altrui.
La sua sottigliezza è formidabile, e la rende unica: infatti su questo campo insistono molte altre parole, ma sono tutte parole o aspre o lagnose o burocratiche. Il reclamo? Scartoffie. La querela? Scartoffie peggiori. Le lamentele? Lagne. Doglianze? Mal di pancia. Le lagnanze? Nemmeno a dirlo. Le proteste? Grida. Le contestazioni? Grida forse appena più ordinate. Le recriminazioni? Grida lagnose. Le rimostranze...?
Le rimostranze (quasi sempre al plurale) sono composte. Non sono rumorose. E non sono querule: sono articolate e ponderate. Inoltre il loro nome è proprio di un registro abbastanza alto, ma non è propriamente tipico di diritto e burocrazia. Senza contare che (forse anche grazie a questo equilibrio?) le rimostranze hanno sostanzialmente ragione.
Contestano in maniera rispettosa un comportamento ingiusto — anche calato dall’alto, anche di un’autorità. La vena di riconoscimento, o addirittura di ossequio che le attraversano conserva aperto il dialogo, il rapporto. È particolarmente interessante notare che la rimostranza proceda etimologicamente dal ‘rimostrante’: la rimostranza è molto umana, molto personale.
Posso parlare delle rimostranze della cittadinanza davanti alla decisione di stravolgere la viabilità, delle rimostranze della classe quando la professoressa fissa la data del compito in classe, delle rimostranze adombrate dai vicini di casa alla terza festa che diamo in tre giorni, anche se li invitiamo sempre.
È una parola posata, equilibrata, che arriva dove deve arrivare: ha la forza della ragione, di un’esplicazione che mostra e rimostra in maniera paziente e circostanziata. Anche se dentro, forse, c’è anche un po’ di rassegnazione: la rimostranza è fondata e determinata, ma non accanita, né potente.