SignificatoDegno di disapprovazione, rimprovero, biasimo
Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo reprehensibilis, da reprehensus, participio passato di reprehèndere ‘riprendere’.
Anche qui c’è una folla di parole: parole che vogliono qualificare qualcosa o qualcuno come ‘meritevole di disapprovazione’. Questa concentrazione ci racconta l’intensità del controllo sociale sulle azioni individuali, e si declina in modi variegati ma non poi così disparati — c’è una certa convergenza su registri alti, ad esempio.
Abbiamo l’eleganza tiepida del biasimevole, l’intensità sdegnata del riprovevole, la costernazione del deplorevole, il tratto netto e grave dell’indegno, la prudenza del discutibile, il carattere dialettico del criticabile, la valutazione morale e pratica del censurabile — e via dicendo. Il riprensibile si colloca in questo arcipelago in maniera speciale.
Per la verità, come non di rado capita, afferma un vizio ma è decisamente più raro rispetto al suo collega negativo che lo esclude, ossia l’irreprensibile — è una forbice che ha iniziato ad allargarsi nell’Ottocento, e se oggi irreprensibile è una parola comune, riprensibile è piuttosto rara (nella variante reprensibile, ancor di più).
Ci parla delle possibilità, del merito o dell’opportunità di una riprensione, parola anch’essa elevata, recuperata dal latino reprehensio, e lo suona tanto più a contrasto con la semplicità del significato — un mero riprendere da un punto di vista morale, come quando la mamma mi riprende per la parolaccia che dico. È un riprendere bellissimo, delicato e fermo, operativo ed essenziale nella correzione, e non privo di affetto. Peraltro è un tono che troviamo già nel reprehendo latino, sempre con questi significati, anche se il primo — senti che poesia, che forza e che discrezione in questo modo di rimproverare — era ‘trattenere, fermare’, lieve e saldo come una mano sulla spalla, un prendere da parte.
In effetti, il riprensibile è estremamente compassato: le situazioni su cui insiste possono dare adito a scene madri, a storcimenti di nasi, a sdegni potenti, ma il riprensibile non si scompone — anche grazie a quel tono di possibilità conferito dal suffisso. Posso pensare a che cosa c’è stato di riprensibile nel mio comportamento, posso notare come nell’armonia generale dell’opera i difetti non paiano riprensibili, posso ragionare di come la tolleranza verso una situazione incresciosa sia riprensibile. C’è della sconvenienza, nel riprensibile, ma senza superficialità. Si conserva, pur se tenue e composto, molto fattivo. Ed è bello avere una possibilità temperata in più, quando si parla di qualcosa di tanto delicato — importante, perché notare il riprensibile è vitale per il corpo sociale, ma a un tempo scabroso, perché è un atto naturalmente ruvido. Davvero una risorsa brillante.
Anche qui c’è una folla di parole: parole che vogliono qualificare qualcosa o qualcuno come ‘meritevole di disapprovazione’. Questa concentrazione ci racconta l’intensità del controllo sociale sulle azioni individuali, e si declina in modi variegati ma non poi così disparati — c’è una certa convergenza su registri alti, ad esempio.
Abbiamo l’eleganza tiepida del biasimevole, l’intensità sdegnata del riprovevole, la costernazione del deplorevole, il tratto netto e grave dell’indegno, la prudenza del discutibile, il carattere dialettico del criticabile, la valutazione morale e pratica del censurabile — e via dicendo. Il riprensibile si colloca in questo arcipelago in maniera speciale.
Per la verità, come non di rado capita, afferma un vizio ma è decisamente più raro rispetto al suo collega negativo che lo esclude, ossia l’irreprensibile — è una forbice che ha iniziato ad allargarsi nell’Ottocento, e se oggi irreprensibile è una parola comune, riprensibile è piuttosto rara (nella variante reprensibile, ancor di più).
Ci parla delle possibilità, del merito o dell’opportunità di una riprensione, parola anch’essa elevata, recuperata dal latino reprehensio, e lo suona tanto più a contrasto con la semplicità del significato — un mero riprendere da un punto di vista morale, come quando la mamma mi riprende per la parolaccia che dico. È un riprendere bellissimo, delicato e fermo, operativo ed essenziale nella correzione, e non privo di affetto. Peraltro è un tono che troviamo già nel reprehendo latino, sempre con questi significati, anche se il primo — senti che poesia, che forza e che discrezione in questo modo di rimproverare — era ‘trattenere, fermare’, lieve e saldo come una mano sulla spalla, un prendere da parte.
In effetti, il riprensibile è estremamente compassato: le situazioni su cui insiste possono dare adito a scene madri, a storcimenti di nasi, a sdegni potenti, ma il riprensibile non si scompone — anche grazie a quel tono di possibilità conferito dal suffisso. Posso pensare a che cosa c’è stato di riprensibile nel mio comportamento, posso notare come nell’armonia generale dell’opera i difetti non paiano riprensibili, posso ragionare di come la tolleranza verso una situazione incresciosa sia riprensibile. C’è della sconvenienza, nel riprensibile, ma senza superficialità. Si conserva, pur se tenue e composto, molto fattivo. Ed è bello avere una possibilità temperata in più, quando si parla di qualcosa di tanto delicato — importante, perché notare il riprensibile è vitale per il corpo sociale, ma a un tempo scabroso, perché è un atto naturalmente ruvido. Davvero una risorsa brillante.