Compassato
com-pas-sà-to
Significato Controllato, misurato, sorvegliato
Etimologia propriamente, participio passato di compassare, che nasce ipoteticamente nel latino parlato col senso di ‘misurare a passi’, derivato di passus ‘passo’, con prefisso cum- ‘con’.
- «Ha usato parole compassate, senza sbilanciarsi.»
Parola pubblicata il 31 Gennaio 2024
Profanamente, ci viviamo il compasso come uno strumento piuttosto bizzarro. Ci è stato fatto usare a scuola, magari per tracciare qualche disegno tecnico di cui portiamo vaga memoria: inoltre abbiamo idea che serva più per disegnare, per tracciare circonferenze e archi, piuttosto che per misurare (anche se la sua funzione principale a scuola è spesso di arma impropria, o fargli mimare delle danze). Dopotutto noi persone semplici, se dobbiamo misurare qualcosa nei nostri cimenti di bricolage, usiamo metri e righe. Ma il compasso è un principe, fra gli strumenti grafici, e la sua rinomanza nell’ambito della misura è millenaria. In effetti trae il suo nome dal compassare, che nel latino parlato doveva essere un ‘misurare a passi’, e che come metafora di misurazione attenta ha preso una piega più esatta.
Infatti il verbo compassare oggi significa semplicemente ‘misurare con precisione’, anche se in passato ha anche avuto quello di ‘misurare col compasso’. Il suo participio passato, quando è usato come aggettivo, declina questa precisione in un modo che nel discorso si manifesta con grande eleganza — e finisce per essere una parola della fascia tipica del parlare fine.
Toni, comportamenti, persone intere possono distinguersi per un particolare controllo, una composizione anzi una compostezza senza sbavature. Ma è un carattere che può essere notato con sfumature molto differenti, che non sempre si fanno apprezzare.
Lo stesso aggettivo controllato dà l’immediata percezione del magma dell’incontrollato che si tenta di domare e reprimere: se parlo di parole controllate, di atteggiamenti controllati, è evidente un rischio esplosivo sotteso. Il sorvegliato ha un tratto guardingo, sospettoso, faticosamente meticoloso: una lingua sorvegliata, uno stile sorvegliato ha una sobrietà guardata a vista — basta un momento per pazziare. Il misurato ha un’aria più schietta ma è pur sempre evidente che alla cintura porta il metro: un tono misurato, un mangiare misurato mostra un equilibrio ponderato con un calcolo magari non pesante ma chiaro.
Il compassato lucra precisamente la trascendenza della famiglia del compasso e del compassare. Non sapremmo neppure più bene come misurarci le cose, con passi e compassi, ma nel nostro immaginario resta una netta aura di pulizia, precisione e ovviamente di rotondità. Alla lettera il compassato sarebbe un misuratissimo, quasi lo fosse proprio concretamente, quanto e come può esserlo un disegno — tant’è che in questo attributo c’era una forte componente di rigidità e affettazione, nel Settecento. Ma è un tratto duro che si è andato smussando, coi secoli e i decenni, fino a un senso più mite di compostezza, calma e ponderata. Il compassato oggi non spicca perché poco naturale: ha un tratto meditato piuttosto ben considerato.
Possiamo ragionare delle parole compassate che sono state usate per descrivere la realtà dolorosa o gioiosa, degli inviti compassati con cui cerchiamo di evitare che scoppino incendi fra due persone, dello stile di guida compassato con cui nel traffico peggiore si evitano buche e incidenti a ogni angolo.
Una risorsa davvero raffinata, imperniata sulla misura senza che però questo sia troppo didascalico. Una parola di facile accesso ma che si fa notare per ricercatezza — e forte di una schiettezza scostata delle ipocrisie che spesso accompagnano il controllato e il ponderato.