Scabroso
sca-bró-so
Significato Ruvido; aspro, malagevole, difficile; ostico, difficile da intendere o da risolvere; scandaloso, che può turbare la sensibilità altrui, specie riguardante la sfera sessuale
Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo scabrosus, da scaber ‘ruvido’, derivato di scàbere ‘grattare’.
- «Questo è il passaggio più scabroso della composizione, fa' attenzione mentre suoni.»
Parola pubblicata il 12 Luglio 2023
I particolari, i dettagli scabrosi. I messaggi scabrosi. I temi scabrosi. Sono forse fra i primi impieghi di questo aggettivo che ci vengono in mente, e in modo quasi invariabile convergenti sul senso del pruriginoso, dell’inconfessabile e del piccante. Invece questo splendido termine è di quelli che ci offre — se vogliamo accettarla — una complessità di pensiero di quelle che sorprendono. Infatti lo scabroso è l’eloquente punto d’incontro fra l’aspro e il delicato.
Per capire il termine, s’inizia dall’inizio. Ha una parente sgradevole ma che ci mette in chiaro immediatamente quale sia la dimensione in cui muove i primi passi: la scabbia, malattia della pelle causata da un acaro parassita, che bontà sua come tutte le creature del mondo tira a campare. Nella fattispecie lo fa entrando nella pelle, causando un terribile prurito. Il verbo latino scàbere significa giusto ‘grattare’.
Da questo verbo nasce lo scaber, col senso di ‘ruvido’ — mantenuto anche dal nostro ‘scabro’. Invece il latino tardo matura uno scabrosus votato a una tornitura di significato maggiore. C’è una contiguità evidente fra il ruvido e l’aspro — anche se coinvolgono sensi differenti, tatto e gusto, con una sorta di sinestesia normalizzata, poesia popolare, riusciamo a considerare un tono di voce ruvido e un panorama aspro. Lo scabroso prende così la via dell’accidentato. Seguiamolo.
Ciò che è accidentato è difficile da percorrere — se è scabroso, poi, senza perdere quel senso di ruvidità e asprezza, ci viene subito alle corde che questo è anche un tratto di pericolo, ci si può far male. La superficie scabrosa ci graffia, la via scabrosa è ardua.
A questo punto dell’evoluzione della parola capiamo che parlare di un libro, o di un passaggio, o di un problema scabroso, non significa parlare di qualcosa che suscita un certo dar di gomito perché probabilmente concerne qualcosa giù dabbasso: lo scabroso è semplicemente ostico. Difficile da capire, da risolvere. E il passaggio figurato che porta allo scabroso che conosciamo oggi è questo. Le cose scabrose sono cose difficili. E nei discorsi, le cose difficili sono soprattutto quelle delicate, complesse da afferrare ed esporre, che possono ingenerare un turbamento.
Ad esempio può essere scabroso parlare di una persona amica in presenza di altre con cui ci sono stati trascorsi infelici; può essere scabroso parlare di rabbie che ci portiamo dentro; scabroso un rimprovero che non possiamo più evitare di proferire. Capiamo che la grazia del termine è olimpica. Voltiamoci a riprendere il percorso fatto: il ruvido è aspro, l’aspro è difficile, il difficile è delicato — transitivamente, il ruvido è delicato. Un passaggio paradossale, poetico, eppure evidente e lineare: seguendolo col dito incappiamo in un’antinomia, come a seguire un disegno impossibile di Escher. Ma attenzione! La via finisce in una scarpata.
Ed è la scarpata del giudizio di ciò che si individua come delicato, la scarpata del pudore. Tanto potente è la spinta vereconda a coprire ciò che riguarda la sfera sessuale che lo scabroso storce la sua agile, danzante progressione di significati, schiacciandosi su ciò che suscita risatine, ciò che è sconcio, che non si confà, che mina l’onore e la rispettabilità e amenità del genere. Avevamo un termine che giungeva illusoriamente al proprio opposto fra balze di sfere sensoriali e intellettuali portando la nostra intelligenza a lidi più alti, e siamo scivolati al dettaglio ghiotto da rotocalco, allo scandaloso — scabrose le richieste che si sentono nell’intercettazione segreta pubblicata su tutti i giornali, scabrosi i dettagli del racconto di chi c’era e può dire chi è veramente quel personaggio così famoso, scabrosi i passaggi espunti dalla versione del classico o dalla mostra ad usum Delphini, perché sia mai che i giovani sentano e vedano certe cose. Lo scabroso che non è difficile e delicato ma direttamente scandaloso perde sfumature, profondità.
Recuperare uno scabroso più ampio, che si riappropri di un senso più vario di delicatezza, significa riconquistare un termine raffinato. Dopotutto, la direzione pudibonda non è presa univocamente: un certo giornalismo (specie quello sportivo, che continua a distinguersi come il più attento ed elegante nell’uso della lingua) lo impiega ancora in tutta la sua estensione. E parla del caso scabroso di un infortunio, di una legge elettorale, dell’oggetto scabroso di un’opera teatrale. Si può riprendere la vecchia via ritorta.