SignificatoChe conduce una vita dissipata, oziosa, dedita alla lussuria e alla gozzoviglia; sfarzoso
Etimologia dal nome di Sardanapàlo, anche noto come Assurbanipal, re assiro vissuto nel VII secolo a.C.
Come sempre, quando ci troviamo davanti a una parola che prende un personaggio come antonomasia per astrarre caratteri umani, c’è innanzitutto da capire chi sia il personaggio di riferimento. In casi come questo, il fatto che si tratti di un personaggio storico non mette al riparo da contaminazioni più o meno fantastiche. E be’, dopo ventisette secoli è un’eventualità fisiologica.
Sardanapalo fu l’ultimo grande re degli Assiri. Regnò dalla città di Ninive, in cui fece raccogliere una favolosa biblioteca in cuneiforme, di cui ci è arrivata una parte preziosa (alcuni dei testi più importanti sull’epopea di Gilgamesh, e sul sapere astronomico del tempo arrivano da lì). Dopotutto egli era un dotto, sapeva leggere e anche scrivere. Peraltro pare sia stato il primo a raccogliere una biblioteca del genere con un criterio archivistico ordinato. Le testimonianze del suo sostegno alle arti scultoree e architettoniche sono arrivate numerose fino a noi. Suo fratello, re di Babilonia, tentò di spodestarlo, ma fu Sardanapalo invece a spodestare lui estendendo il suo potere dalla Mesopotamia all’Egitto. Alla sua morte i suoi figli si contesero il regno aspramente; in quel momento di debolezza fu invaso dai popoli vicini, e non si riprese.
Nonostante ciò, di Sardanapalo, dai resoconti della storiografia greca fino alle nostre enciclopedie un po’ più polverose, si sottolinea subito altro: egli era un lussurioso, effeminato, dedito ai più estrosi piaceri della carne e della gola, crogiolato in un ozio orgiastico costante in cui dissipò la vita. Riportano perfino una versione pittoresca della sua morte: assediato, si rinchiuse nella sua fortezza fra irripetibili godimenti finché non gli vennero a noia e si fece bruciare in una grande pira con le sue ricchezze, concubini e concubine. Pare che abbia voluto un epitaffio in cui invitava a godersi la vita.
Perciò si dice sardanapalesco chi conduce una vita del genere, dedicandosi principalmente a gozzoviglie senza costrutto e a lascivie e libidini, meglio se in un quadro, se non sfarzoso, almeno raffinato. Così dietro a certi ricevimenti sardanapaleschi si celano traffici loschi, l’amico concilia uno stile di vita sardanapalesco con una cura templare del proprio fisico, e organizziamo i giorni precisi delle ferie per goderci una vacanza sardanapalesca. Va detto che questa parola è attestata alla fine del Cinquecento, quando il martello della Controriforma comincia a picchiare duro, e la morale si stringe di più sulla vita pubblica: Sardanapalo, prototipo del sovrano orientale opulentemente ricco e sfacciatamente lussurioso, si fa conveniente parafulmine raccogliendo nel concetto di una condotta di vita sbagliata le saette di un severo giudizio.
Il che è almeno tendenzioso, perché un allegro bontempone col pallino per le statue, le biblioteche, le orge e le gozzoviglie, e ricco come un re, ha l’aria di essere un gran compagnone.
Come sempre, quando ci troviamo davanti a una parola che prende un personaggio come antonomasia per astrarre caratteri umani, c’è innanzitutto da capire chi sia il personaggio di riferimento. In casi come questo, il fatto che si tratti di un personaggio storico non mette al riparo da contaminazioni più o meno fantastiche. E be’, dopo ventisette secoli è un’eventualità fisiologica.
Sardanapalo fu l’ultimo grande re degli Assiri. Regnò dalla città di Ninive, in cui fece raccogliere una favolosa biblioteca in cuneiforme, di cui ci è arrivata una parte preziosa (alcuni dei testi più importanti sull’epopea di Gilgamesh, e sul sapere astronomico del tempo arrivano da lì). Dopotutto egli era un dotto, sapeva leggere e anche scrivere. Peraltro pare sia stato il primo a raccogliere una biblioteca del genere con un criterio archivistico ordinato. Le testimonianze del suo sostegno alle arti scultoree e architettoniche sono arrivate numerose fino a noi. Suo fratello, re di Babilonia, tentò di spodestarlo, ma fu Sardanapalo invece a spodestare lui estendendo il suo potere dalla Mesopotamia all’Egitto. Alla sua morte i suoi figli si contesero il regno aspramente; in quel momento di debolezza fu invaso dai popoli vicini, e non si riprese.
Nonostante ciò, di Sardanapalo, dai resoconti della storiografia greca fino alle nostre enciclopedie un po’ più polverose, si sottolinea subito altro: egli era un lussurioso, effeminato, dedito ai più estrosi piaceri della carne e della gola, crogiolato in un ozio orgiastico costante in cui dissipò la vita. Riportano perfino una versione pittoresca della sua morte: assediato, si rinchiuse nella sua fortezza fra irripetibili godimenti finché non gli vennero a noia e si fece bruciare in una grande pira con le sue ricchezze, concubini e concubine. Pare che abbia voluto un epitaffio in cui invitava a godersi la vita.
Perciò si dice sardanapalesco chi conduce una vita del genere, dedicandosi principalmente a gozzoviglie senza costrutto e a lascivie e libidini, meglio se in un quadro, se non sfarzoso, almeno raffinato. Così dietro a certi ricevimenti sardanapaleschi si celano traffici loschi, l’amico concilia uno stile di vita sardanapalesco con una cura templare del proprio fisico, e organizziamo i giorni precisi delle ferie per goderci una vacanza sardanapalesca. Va detto che questa parola è attestata alla fine del Cinquecento, quando il martello della Controriforma comincia a picchiare duro, e la morale si stringe di più sulla vita pubblica: Sardanapalo, prototipo del sovrano orientale opulentemente ricco e sfacciatamente lussurioso, si fa conveniente parafulmine raccogliendo nel concetto di una condotta di vita sbagliata le saette di un severo giudizio.
Il che è almeno tendenzioso, perché un allegro bontempone col pallino per le statue, le biblioteche, le orge e le gozzoviglie, e ricco come un re, ha l’aria di essere un gran compagnone.