SignificatoFormazione sociale con omogeneità di costumi, credenze e lingua; gruppo numeroso di persone
Etimologia dal latino tribus, che diversi linguisti ricostruiscono come composto di tri- ‘tre’ e della radice indoeuropea ricostruita bhū- ‘nascere’.
Sembra una parola innocua, perfino simpatica e suggestiva. E spesso lo è, ma, a considerarla meglio si porta dietro problemi e implicazioni che è bene non trascurare.
Chiariamo: ‘tribù’ è un termine non solo nostrano, ma che affonda nelle origini della storia italica. Col suo misterioso (e più che plausibile, secondo molto linguisti) riferimento a una genesi a tre, racconta forse la prima tripartizione del popolo di una Roma agreste, allungando lo sguardo sulla società premonarchica — la società romana prima di Roma, quella più o meno mitica che riunì Latini, Etruschi e Sabini.
Il suo nome è un pilastro: da esso viene quello della magistratura dei tribuni, il tribunale da cui questi esprimevano il loro potere popolare, come anche il tributo, dovuto dalla tribù, e ancora attribuzioni e retribuzioni. E quando ci fu da parlare in latino della storia biblica del popolo di Israele si parlò delle dodici tribù in cui era diviso, scaturite dai dodici figli di Giacobbe.
Da dove nascono allora i problemi con ‘tribù’? Proviamo a usarlo, proviamo a seguire dove va a finire la nostra immaginazione quando la eccitiamo col termine ‘tribù’. Tribù amazzoniche non contattate che scagliano frecce contro gli elicotteri di passaggio. Tribù del pacifico che si tatuano, e adorano i vulcani. Tribù nomadi delle steppe che vivono in tende di pelli. Tribù indiane dalle filosofie premoderne, sgomente davanti al bastone-che-tuona. Tribù africane che strappano ritmi forsennati da piccoli tamburi e vestono monili di piume e foglie.
Il termine antropologico vorrebbe essere neutrale nel proprio ambito, indicare formazioni sociali determinate, con un grado di omogeneità — se non unità — di costumi, di credenze e di lingua, articolate in famiglie, clan. Ma il suo uso comune ha un’ineluttabile marca di pittoresca e barbara arretratezza. Quella tribale è con poche oscillazioni una società primitiva, rurale, che non consce il diritto scritto, e che indulge spesso in inimicizie famigliari e che trascina conflitti tradizionali.
Uno potrebbe anche anche avanzare la critica “Embè?”, che un po’ articolata potrebbe suonare come “Una tribù non contattata, isolata nel mezzo della giungla, priva di lettere e di tecnologia dei metalli, non è forse — ovviamente facendo la tara ai miei parametri ma comunque con una certa convergenza di considerazione — arretrata?” Una critica interessante che aprirebbe molti discorsi ma che in sé qui non ci interessa: il problema (non dappoco, è un’istanza internazionale molto sentita) è che la qualità di ‘tribù’ viene affibbiata anche a realtà sociali che sono molto più vaste e complesse del manipolo di persone che vive senza rapporti con l’esterno su un’isola delle Andamane. Quella dei Masai è una tribù? Quella degli Igbo è una tribù?
L’uso del termine ‘tribù’ per parlare di dinamiche politiche africane e no si scontra con una tendenziale ignoranza delle realtà di cui si sta parlando, che possono consistere in società complesse che parlano lingue ricche e antiche e sono composte da milioni di abitanti. L’alternativa proposta, che sarebbe interessante considerare di applicare anche ad analoghi gruppi sociali più piccoli, sarebbe quello che secondo il dizionario di De Mauro si definisce così: “complesso di persone accomunate da tradizioni storiche, lingua, cultura, origine, e dalla consapevolezza di appartenere a un’unità”. Cioè nazione. Un termine che, nel dubbio, non giudica arretratezze e che conferisce la dignità necessaria a sedere nei consessi… internazionali.
Detto questo, quella dimensione limitata, apparentemente barbarica e praticamente familiare che colleghiamo alla tribù resta un richiamo dolce e delicato quando la si prende a iperbole ironica per una famiglia o in genere un gruppo di persone — quantificandoli come molto numerosi, coesi e complici. Aspetti tutt’altro che sminuenti. A Natale siamo a cena da noi con tutta la tribù, quando c’è stato da organizzare il festival del paese ha partecipato tutta la tribù, e organizzando il matrimonio si deve cercare un posto dove possano entrare due tribù.
Dopotutto, del concetto stesso di ‘tribale’ abbiamo più una suggestione che una cognizione.
Sembra una parola innocua, perfino simpatica e suggestiva. E spesso lo è, ma, a considerarla meglio si porta dietro problemi e implicazioni che è bene non trascurare.
Chiariamo: ‘tribù’ è un termine non solo nostrano, ma che affonda nelle origini della storia italica. Col suo misterioso (e più che plausibile, secondo molto linguisti) riferimento a una genesi a tre, racconta forse la prima tripartizione del popolo di una Roma agreste, allungando lo sguardo sulla società premonarchica — la società romana prima di Roma, quella più o meno mitica che riunì Latini, Etruschi e Sabini.
Il suo nome è un pilastro: da esso viene quello della magistratura dei tribuni, il tribunale da cui questi esprimevano il loro potere popolare, come anche il tributo, dovuto dalla tribù, e ancora attribuzioni e retribuzioni. E quando ci fu da parlare in latino della storia biblica del popolo di Israele si parlò delle dodici tribù in cui era diviso, scaturite dai dodici figli di Giacobbe.
Da dove nascono allora i problemi con ‘tribù’? Proviamo a usarlo, proviamo a seguire dove va a finire la nostra immaginazione quando la eccitiamo col termine ‘tribù’. Tribù amazzoniche non contattate che scagliano frecce contro gli elicotteri di passaggio. Tribù del pacifico che si tatuano, e adorano i vulcani. Tribù nomadi delle steppe che vivono in tende di pelli. Tribù indiane dalle filosofie premoderne, sgomente davanti al bastone-che-tuona. Tribù africane che strappano ritmi forsennati da piccoli tamburi e vestono monili di piume e foglie.
Il termine antropologico vorrebbe essere neutrale nel proprio ambito, indicare formazioni sociali determinate, con un grado di omogeneità — se non unità — di costumi, di credenze e di lingua, articolate in famiglie, clan. Ma il suo uso comune ha un’ineluttabile marca di pittoresca e barbara arretratezza. Quella tribale è con poche oscillazioni una società primitiva, rurale, che non consce il diritto scritto, e che indulge spesso in inimicizie famigliari e che trascina conflitti tradizionali.
Uno potrebbe anche anche avanzare la critica “Embè?”, che un po’ articolata potrebbe suonare come “Una tribù non contattata, isolata nel mezzo della giungla, priva di lettere e di tecnologia dei metalli, non è forse — ovviamente facendo la tara ai miei parametri ma comunque con una certa convergenza di considerazione — arretrata?” Una critica interessante che aprirebbe molti discorsi ma che in sé qui non ci interessa: il problema (non dappoco, è un’istanza internazionale molto sentita) è che la qualità di ‘tribù’ viene affibbiata anche a realtà sociali che sono molto più vaste e complesse del manipolo di persone che vive senza rapporti con l’esterno su un’isola delle Andamane. Quella dei Masai è una tribù? Quella degli Igbo è una tribù?
L’uso del termine ‘tribù’ per parlare di dinamiche politiche africane e no si scontra con una tendenziale ignoranza delle realtà di cui si sta parlando, che possono consistere in società complesse che parlano lingue ricche e antiche e sono composte da milioni di abitanti. L’alternativa proposta, che sarebbe interessante considerare di applicare anche ad analoghi gruppi sociali più piccoli, sarebbe quello che secondo il dizionario di De Mauro si definisce così: “complesso di persone accomunate da tradizioni storiche, lingua, cultura, origine, e dalla consapevolezza di appartenere a un’unità”. Cioè nazione. Un termine che, nel dubbio, non giudica arretratezze e che conferisce la dignità necessaria a sedere nei consessi… internazionali.
Detto questo, quella dimensione limitata, apparentemente barbarica e praticamente familiare che colleghiamo alla tribù resta un richiamo dolce e delicato quando la si prende a iperbole ironica per una famiglia o in genere un gruppo di persone — quantificandoli come molto numerosi, coesi e complici. Aspetti tutt’altro che sminuenti. A Natale siamo a cena da noi con tutta la tribù, quando c’è stato da organizzare il festival del paese ha partecipato tutta la tribù, e organizzando il matrimonio si deve cercare un posto dove possano entrare due tribù.
Dopotutto, del concetto stesso di ‘tribale’ abbiamo più una suggestione che una cognizione.