Tartaro

tàr-ta-ro

Significato Deposito lasciato dal vino nella botte, e incrostazione che si forma sui denti; nella mitologia classica, luogo o divinità infernale; relativo all’etnia tartara

Etimologia nel significato mitologico, derivato dal nome greco Tàrtaros, a cui forse si collega il significato di incrostazione di vino nella botte; e quale nome dell’etnia asiatica, sovrapposizione di Tatar, nome originale della popolazione, e il Tartaro mitologico.

Nel corpo di una parola ne confluiscono tre, molto diverse fra loro, che però trovano un inaspettato filo comune.

Nel mito greco, il Tartaro è una figura sublime e terrificante. È dipinto sia come divinità primigenia, assieme a Caos e Gaia, sia come sconfinato abisso infernale. Ci si domanderà che cosa c’entra questo con la gromma delle botti e con una bellicosa stirpe mongola.

Ora, il tartaro della botte è particolarmente ricco di un acido, l’acido tartarico (ça va sans dire); e proprio le sue capacità corrosive hanno suggerito un richiamo all’inferno classico. E il suo prestigio nel novero delle incrostazioni ha anche invitato un accostamento alla malsana placca calcificata che funesta i denti dei meno amanti dello spazzolino.

Quando a partire dal XIII secolo in Europa si iniziò a temere l’invasione delle orde mongole - timore ben fondato -, agli invasori fu attribuito, fra gli altri, il nome di Tartari: il nome di una specifica tribù, Tatar, che probabilmente deriva dall’aggettivo mongolo tatari, cioè balbuziente, fu assimilato a un nome noto che già ispirava qualcosa di infernale. In realtà, con questo significato, il nome “tartaro” si mostra piuttosto nebuloso: infatti in pratica è stato applicato con larghezza all’intera compagine delle stirpi mongole che si sono stabilite a ovest della Mongolia, in tutta l’Europa dell’est.

Così l’antica suggestione di un abisso divino percorre ancora la nostra lingua.

Nota mitologica extra: si può sapere che cosa fosse di preciso il Tartaro?

No. Come in tanti miti, le incongruenze dei racconti non permettono di ricostruirne una figura coerente. Ma vediamo che si può fare.

All’inizio dei tempi c’era il Caos. E fin qui niente di strano, c’è anche ora. Dal Caos scaturirono Gaia, la terra, e Tartaro, gli inferi. questo ci viene raccontato quale un abisso profondissimo: un’incudine di bronzo, cadendovi, avrebbe impiegato nove giorni e nove notti per toccarne il fondo. Insomma, si parla di decine di migliaia di chilometri: un gran bello spazio, e completamente inutilizzato. Così, quando Crono ebbe spodestato il padre Urano e si fu elevato a nuovo signore dei Titani, si ritrovò a rimuginare su dove piazzare i suoi fratelli meno graditi, Giganti ed Ecatonchiri: e scaraventarli tutti nel Tartaro sembrò la soluzione più economica e naturale. Una scelta che fece scuola: infatti quando venne il tempo della ribellione di Zeus, questi liberò i prigionieri dal Tartaro e si fece dare manforte per sconfiggere Crono e gli zii Titani. Vinta la battaglia, il nuovo padre degli dèi gettò nel Tartaro i Titani, ponendovi a guardia gli Ecatonchiri - che avendo cinquanta teste e cento mani erano dei carcerieri nati.

Tempo dopo, vuoi per la noia atemporale, vuoi perché rosicava per il fatto che i suoi figli erano stati imprigionati, Gaia ebbe un figlio con il Tartaro - che a quanto pare era un abisso dotato di lombi. Il destino di questo figlio, Tifone, doveva essere quello di rovinare Zeus. Ma fece un’epica cilecca.

Del Tartaro non si sa più nulla. Se non che, con l’avvento della latinità, gli fu affibbiato il ruolo di aldilà spiacevole, in contrapposizione con i meravigliosi Campi Elisi.

Parola pubblicata il 29 Gennaio 2015