Anacenosi

a-na-ce-nò-si

Significato In retorica, richiesta di consiglio rivolta a chi ascolta

Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo anacoenòsis, dal greco anakóinosis ‘comunicazione’, da koinós ‘comune’.

  • «E allora come la raccontereste, voi, l'anacenòsi?»

È che a noi, così dentro ai nostri giorni singoli, sfugge (anche se ne siamo inestricabilmente parte) che cosa sia un’esperienza culturale di una caterva di secoli. Con tutto il tempo che c’è stato, con tutto l’accatastarsi di generazioni ed esperienze anche molto distanti, finisce per essere scontato che la lingua greca abbia un nome per ogni mossa linguistica, per ogni passo di discorso, ma diciamo pure per ogni figura retorica. Forse ciò che è davvero stupendo è che non se ne viene fuori: i millenni passano e noi siamo sempre qui a comporre — spontaneamente o no — le stesse figure. Che continuità, con questi nonni, con queste nonne senza nome.

L’anacenosi è una figura poco nota ma così usata che è un miracolo non sia lisa.
Parlando a un uditorio si porta avanti il filo di un discorso, e una mossa particolarmente efficace da un punto di vista emotivo è rivolgersi alle persone a cui si sta parlando chiedendo un consiglio — magari a chi deve prendere una decisione riguardo a ciò che diciamo, magari a una parte avversa, o al pubblico in generale. Non che debba trattarsi di una richiesta concreta, può anche essere una domanda, be’, retorica. Ma in questo modo chi ascolta viene attivato: anzi in una certa misura episodica viene portato dalla propria parte, invitato a formulare un consiglio, a fornire un consulto. Se la questione è posta in maniera sapiente, è un’azione che sa essere molto persuasiva.

Ditemi, che cos’altro avrei potuto fare, trovandomi in quella situazione? Che cos’avreste fatto voi, e che fareste ora?
Crede anche lei che sarebbe stata una follia mandare in malora un lavoro così ben avviato?
E quindi se tu ti trovassi, come me, davanti a qualcuno che rimanda continuamente i pagamenti, come te, come reagiresti? Dove segneresti il limite?

Sono dei modi di condurre una discussione davvero molto coinvolgenti, incalzanti, che chiedono di fare i conti con una posizione schierando la propria coscienza in una simulazione — però inducendo anche una certa empatia, se non proprio un’identificazione.
Ma la semplice realtà è che l’anacenòsi ha una carica retorica in ogni caso elevatissima — si presta a diventare drammatica ed epigrammatica come poche altre, pensiamo al ‘Non ne posso più! Che devo fare?’ gridato al cielo, al ‘Secondo te che cosa mi conviene fare?’ pronunciato all’arcinemico puntandogli la pistola contro.

Resta, come tante tante altre raffinatissime figure retoriche, una mossa tanto forte quanto normale. La difficoltà poco penetrabile del suo nome fa solo trasparire un koinós che è un ‘comune’ (quello della cenosi e della koinè), in riferimento asciutto alla comunicazione rivolta dall’anacenòsi. Non è una difficoltà che sgorga da un concetto astruso: testimonia solo l’antichità remota del nome dato a questo nostro modo di fare, di dire.

Parola pubblicata il 09 Maggio 2025