Azimut

Parole della scienza classica

à-zi-mut

Significato Nell’astronomia osservativa, una delle coordinate orizzontali, assieme all’altezza (o elevazione)

Etimologia dall’arabo as-sumūt ‘le direzioni’, attraverso lo spagnolo acimut.

  • «Era un marinaio d'esperienza, valutava l'azimut a occhio.»

L’uomo ha osservato il cielo notturno fin dalla più remota antichità, definendo le costellazioni, scoprendo i pianeti e immaginando i miti che li riguardano. Il passo successivo è stato procedere allo studio sistematico dei fenomeni celesti, per il quale è imprescindibile un sistema di coordinate grazie al quale procedere alle misure astronomiche.

Di sistemi di coordinate celesti ne esistono vari, come quello equatoriale e quello eclittico basati sul punto vernale; tuttavia le coordinate più naturali sono quelle orizzontali, che illustreremo facendo ricorso ad un esempio pratico.

Ci hanno regalato un piccolo telescopio, e la prima cosa che vogliamo osservare sono gli anelli di Saturno: andremo quindi in uno spazio aperto, monteremo il telescopio sul cavalletto e lo orienteremo nella direzione giusta, ovvero con una certa altezza rispetto alle linea dell’orizzonte, ed una certa direzione orizzontale, determinata grazie ad una bussola. Ecco, nel sistema delle coordinate orizzontali quest’ultima direzione prende il nome di azimut, da misurare in gradi, in senso orario a partire dalla direzione del nord geografico.

La parola azimut trae origine dalla navigazione astronomica, intendendo non solo quella navale ma anche terrestre, giacché sia il mare aperto che la vastità del deserto patiscono la mancanza di punti certi di riferimento. Il problema era dunque scegliere la direzione in cui muoversi, e nel mondo arabo prese il nome di as-sumūt, ovvero ‘le direzioni’, l’insieme di tutte le rotte possibili. Nel periodo della dominazione araba della Penisola Iberica, il termine fu recepito in spagnolo come acimut, o azimut – e qui è curioso soffermarsi sulla pronuncia, perché né la ‘c’ né la ‘z’ spagnole si pronunciano come in italiano: a seconda delle zone geografiche, si pronunciano come una ‘s’ impura, o come il ‘th’ inglese, oppure come una gradazione intermedia; in più la mancanza dell’accento scritto fa diventare la parola tronca, proprio com’è la pronuncia araba di qualcosa che potremmo traslitterare in asumùt. Dalla Spagna la parola si è poi diffusa in tutte le lingue europee, latino compreso, cristallizzandosi nel significato specifico di definire, come dicevamo più sopra, la direzione orizzontale misurata in senso orario a partire dal nord geografico; ed assumendo, in italiano, la z dolce e l’accentazione sdrucciola.

Il sistema di coordinate basato su elevazione e azimut, dicevamo, è il più naturale, ma anche il più problematico; perché azimut ed altezza dipendono non solo dalla latitudine e longitudine del luogo in cui ci troviamo, ma anche dall’ora del giorno, dato la Terra gira continuamente sul suo asse. Per questi motivi nessun catalogo astronomico fornisce le coordinate orizzontali, e per orientare il nostro telescopio dobbiamo fare calcoli complessi, a partire da altre coordinate come quelle eclittiche o equatoriali.

Oggi la cosa è facile, basta usare un’applicazione, ma in tempi antichi si trattava di capacità che non tutti avevano. In più non bisogna sottovalutare il problema di sapere in quale direzione si trovi il nord geografico: accontentandosi di una precisione grossolana basta usare una bussola, ma in tempi antichi non c’era neanche questa! Come si faceva dunque a determinarla? Almeno questo era relativamente facile: bastava usare lo strumento astronomico più antico del mondo, lo gnomone, che è proprio l’ideale per tracciare la direzione del meridiano locale. È una procedura che può fare chiunque, bastano un po’ di cura e pazienza, da spendere nell’arco di un’unica giornata di sole; e ciò che si ottiene alla fine è proprio la direzione da prendere come riferimento per la determinazione dell’azimut nelle osservazioni astronomiche.

Dov’è dunque Saturno, con i suoi meravigliosi anelli? Conoscendo latitudine e longitudine del luogo in cui ci troviamo, e data e ora, riusciamo ad ottenere i valori di altezza e azimut. Puntiamo il telescopio con tutta l’accuratezza possibile e, in effetti, un pianeta sembra di vederlo. Ma gli anelli non ci sono: che fine hanno fatto? Non si vedono proprio, ci deve essere uno sbaglio! Invece no: il problema è che abbiamo provato ad osservarlo in uno di quei momenti, che si verificano circa ogni quindici anni, in cui gli anelli si presentano alla nostra vista perfettamente di profilo; e poiché sono estremamente sottili risultano praticamente invisibili. La morale di questa storia è che non basta avere buoni strumenti, e sapere dove puntarli, per essere sicuri di trovare ciò che stiamo cercando!

Parola pubblicata il 08 Marzo 2024

Parole della scienza classica - con Aldo Cavini Benedetti

La lingua è costellata di termini che parlano della scienza antica e classica, e dei suoi protagonisti. Con Aldo Cavini Benedetti, un venerdì su due recupereremo la loro splendida complessità.