Bebop
Le parole della musica
be-bop
Significato Genere jazzistico innovativo degli anni Quaranta del Novecento, caratterizzato da notevole complessità armonica e ritmica
Etimologia onomatopea imitativa di una scansione ritmica.
- «Conosci Thelonious Monk? È stato uno dei grandi nomi del bebop.»
Parola pubblicata il 06 Luglio 2025
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
La parola bebop nasce prima del genere omonimo. Riproduce fonicamente un ritmo composto dall’alternanza tra gli accenti di rullante e cassa della batteria. Come rebop, o anche bop, è un’onomatopea, uno dei nonsense usati nello scat singing, una novità introdotta nel canto del primo jazz di New Orleans, che faceva largo uso di vari suoni extralinguistici; un esempio precoce fu quello di Louis Armstrong nel 1926.
Jack Kerouac, autentico appassionato di jazz, chiamò bop prose il suo tentativo di riformare la narrativa secondo principi di libertà creativa mutuati dall’improvvisazione jazzistica d’avanguardia. Nel romanzo Sulla strada (On the road) scrisse: «A quel tempo, nel 1947, il bop stava spopolando in tutta l’America». In realtà, questo stile non divenne mai davvero popolare. Le registrazioni bebop di Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Miles Davis, Thelonious Monk e molti altri, non comparivano nelle classifiche di Billboard, una delle prime riviste dedicate al jazz e alla discografia americana.
La nascita del bebop si fa risalire al 1944, quando John ‘Dizzy’ Gillespie compose l’omonimo pezzo registrato per la prima volta nel 1945, e il cui titolo fu adottato dai critici per indicare tutti i nuovi stili jazz.
A quel tempo, infatti, alcuni giovani musicisti di colore immigrati dal Sud al Nord degli Stati Uniti si erano distaccati dal jazz della generazione precedente. Le cause erano varie, di ordine sia estetico che sociale. Oltretutto, stava tramontando l’era dello swing.
I primi gruppi bebop si esibivano nei locali notturni, con un baschetto in testa e inforcando vistosi occhialoni neri. Non cercavano di compiacere il pubblico; usavano un linguaggio musicale difficile, allontanandosi intenzionalmente dai gusti della società americana media. Si sentivano traditi dalle aspettative di un ‘mondo migliore’, come era stato promesso dalla propaganda bellica. Si presentavano in formazioni più piccole rispetto a quelle delle big band swing e riconoscevano nuova importanza agli strumenti della sezione ritmica, tipicamente basso e batteria.
Pur mantenendo il canonico tempo in 4/4, abbandonarono la scansione regolare dei ritmi in sincope a favore di accentuazioni più articolate e libere. Le armonie blues, da sempre le più adatte all’improvvisazione jazzistica, furono sostituite da altre più dissonanti e divenne frequente l’uso d’intervalli melodici ‘scorbutici’, come il tritono.
Il bebop richiedeva ai solisti un notevole incremento del virtuosismo e dava spazio ai giovani talenti che durante l’era dello swing avevano maturato standard tecnici sempre più elevati. È così che, affrontando il nuovo stile, raggiunsero velocità impensabili solo pochi anni prima, a cui si aggiunse una capacità di improvvisare su complesse progressioni di accordi. Da questi nuove tendenze artistiche i beboppers non trassero vantaggi o successi; anzi, si autorelegarono in una torre d’avorio.
I primi ingaggi, nei club della 52esima strada di New York, iniziarono alla fine del 1944. Tra il 1947 e il 1949 il bebop raggiunse l’apice della sua popolarità, senza però riuscire a garantire ai boppers un indispensabile supporto economico. Per il grande pubblico questo stile presentava troppo spesso ritmi velocissimi, inadatti alla danza, ed era poco orecchiabile.
Guadagnò invece terreno tra i giovani musicisti ‘alternativi’, come Miles Davis o Gerry Mulligan, e contribuì a orientare il jazz verso una nuova concezione della musica intesa come arte autonoma, requisito base del jazz ‘moderno’.
Verso la metà degli anni Cinquanta, la parola bebop indicava generalmente il linguaggio musicale che costituiva le fondamenta di altri stili derivati, il cool jazz, l’hard bop, il soul jazz e il postbop. John Coltrane, Ornette Coleman e Charlie Mingus condurranno l’idioma del jazz alle sue propaggini free.
Frattanto, si imponevano il rhythm and blues e il rock and roll. Nonostante la nostra parola compaia nel titolo della canzone Be-bop-a-lula (1956), in realtà si tratta di un rock and roll che, diversamente dal bebop, raggiunse una popolarità travolgente.
Forse perché le innovazioni, anche le migliori, non sempre sono destinate a trionfare.