Bematista

be-ma-tì-sta

Significato Misuratore di distanze per mezzo del passo

Etimologia dal greco bematistés, derivato di bema ‘passo’.

Va detto: questo termine non avrà l’impatto più potente sul nostro modo di intendere e sfumare il mondo, né lo useremo oggi stesso andando a fare la spesa o parlando con la relatrice di una conferenza. Però il suo impiego storico riesce a darci uno scorcio profondo su un’azione che ci portiamo dietro fin da bambini: misurare una distanza in passi.

Le campagne militari più complesse richiedono uno sforzo geografico di alto profilo (volevo dire ‘geomensorio’ ma pare non esista), specie quando si spingono in terre più o meno ignote. Infatti pare l’occasione passata alla storia come il massimo impegno da parte della classe dei bematisti sia la conquista di Alessandro Magno: il passo (bema) del bematista corrispondeva a settantaquattro centimetri, e a passi simili si potevano misurare imperi interi, e con un grado di precisione impressionante (si parla di un errore medio ben inferiore al 5%); le misurazioni di bematisti come Betone e Diogneto sono immortalate nell’opera di autori latini come Plinio il Vecchio e Strabone.

Certo la misurazione del bematista non ha una precisione scientifica; per quanto goda di un’agilità che non richiede altri strumenti oltre alle gambe, che peraltro già stanno facendo il percorso, l’affidabilità non è totale. Tant’è che già i Romani iniziarono a godere del lusso di potersi affidare agli odometri (quelle ruote che ancora oggi, pur con qualche sofisticazione in più, vengono spinte sul terreno dai geometri, e il numero di giri della ruota determina la distanza). Però resta il fascino di una professione che è il perfezionamento della prima intuizione di quando da bambini misuriamo a passi l’ampiezza delle porte del campetto perché siano uguali, o quanto dista la scuola da casa. Ma non solo: la pagina dei bematisti non si chiude con la storia antica.

Oggi avremmo senz’altro strategie tecnologiche più raffinate, ma ancora nell’Ottocento i bematisti, in condizioni eccezionali, tornavano eccezionalmente utili (pur se con altro nome e in altre vesti). Durante il Grande Gioco, la raffinatissima contesa politica fra Regno Unito e Russia per il dominio dell’Asia centrale, gli inglesi ebbero dei problemi a mappare i territori fuori dai confini dell’India, per l’ostilità delle popolazioni autoctone e la sconvenienza diplomatica. Fu un’idea dell’ufficiale inglese Thomas Montgomerie: formare un corpo di geometri travestiti da santoni erranti, chiamati pandit, che addestrati come spie potessero occultamente fare i rilievi geografici di cui la corona aveva bisogno. Quando cammini, nessuno sa che stai contando i passi, nessuno immagina che tu stia misurando. Fra le altre cose, portavano con sé rosari buddisti modificati (non con centootto grani, ma solo cento), ogni cento passi si facevano scorrere in mano un grano, ogni giro di rosario erano quindi diecimila passi, e gli appunti sulle distanze venivano presi su rotoli nascosti nelle ruote di preghiera. La figura del pandit-geometra è diventata celebre anche perché Kim, protagonista dell’omonimo romanzo di Kipling, riceve proprio un addestramento del genere.

La misura a passi è un affare serio: il primo approccio alla misura, la misura più semplice e più occulta. E non si sa mai quando, senza metri, odometri e telefoni, ci potrà tornare utile richiamare una cadenza da bematista per fissare una distanza.

Parola pubblicata il 29 Giugno 2019