Brîsa
brî-sa
Significato Varietà linguistica: emiliano-romagnolo — ‘non’, ‘nient’affatto’, propriamente ‘briciola’
Etimologia la stessa dell’italiano bricia (il cui diminutivo in italiano è briciola: da briciare ‘spezzare, rompere’, che giunge attraverso l’ipotetica voce del latino parlato brisiare col medesimo significato, la quale ha una probabile origine celtica.
- «A n è brîsa turnê»: non è tornato (frase in Emiliano, var. bolognese)
Parola pubblicata il 30 Giugno 2025
Dialetti e lingue d'Italia - con Carlo Zoli
L'italiano è solo una delle lingue d'Italia. Con Carlo Zoli, ingegnere informatico che ha dedicato la vita alla documentazione e alla salvaguardia di dialetti e lingue minoritarie, a settimane alterne esploriamo una parola di questo patrimonio fantasmagorico e vasto.
Oggi riflettiamo su come le lingue ‘dicono di no’. Ci sono lingue che non tollerano due negazioni (il latino e l’inglese ad esempio), o meglio, se ci sono due negazioni si finisce per… negare la negazione e quindi per affermare: frasi del tipo di non viene nessuno significherebbero in queste lingue ‘non c’è nessuno che non-viene’, e dunque ‘vengono tutti’.
Invece, in tutte le lingue e i dialetti neolatini si è affermata la possibilità, e talvolta l’obbligo, della doppia negazione (i linguisti chiamano questo fenomeno negative concord): per cui il significato di non viene nessuno è che davvero ‘nessuno viene’. Non tutti magari hanno fatto caso al fatto che la doppia negazione in italiano ci vuole se nessuno sta dopo il verbo (non viene nessuno), ma non ci vuole se sta prima (nessuno nonviene si sente a volte dire da quelli che hanno come madrelingua il romeno, dove invece la doppia negazione ci vuole sempre): un affare complicato su cui fioriscono studi teorici molto affascinanti. È interessante vedere come una lingua che funzionava grammaticalmente in un certo modo (il latino) si è trasformata in lingue che funzionano in modo anche molto diverso (le lingue neolatine): il mutamento delle lingue nel tempo è un fatto tutt’altro che lineare e facile da ricostruire specie nelle fasi intermedie.
Ma torniamo alla briciola. Quando si dice di no è necessario essere chiari, espliciti e, per così dire, enfatizzare il concetto: anche in italiano espressioni come nient’affatto o per niente (o altre non ripetibili qui, ma usate continuamente da tutti) sono usate per rafforzare la negazione. E molte lingue, specialmente se hanno una particella negativa ‘breve’, ‘debole’, sentono la necessità di rafforzare questa negazione in modo praticamente obbligatorio. E lo fanno con parole che indicano ‘la minima quantità possibile’, o il ‘minimo numero possibile’. Nei dialetti emiliano-romagnoli la parola scelta per questo scopo è brîsa ‘briciola’, altrove è mica ‘pezzettino di pane’, in altri dialetti è pas ‘passo’. Queste parole all’inizio non sono portatrici di una valore grammaticalmente negativo, ma poi lo acquisiscono.
Il processo ha inizio con frasi come non ho fatto (un) passo oppure a n ò magnê brîsa (lett: “non ho mangiato briciola”) per mettere bene in chiaro che non ci si è mossi o non si è proprio toccato cibo. Ma l’enfasi poi si perde, si usura per così dire, e la frase passa a significare prima “non ho mica (anche questo un pezzettino di pane!) mangiato”, e infine semplicemente “non ho mangiato”. La brîsa a questo punto si può associare anche a verbi che non hanno nulla a che vedere col nutrirsi e con i minuzzoli di pane e diventa il secondo membro di una negazione doppia che ‘circonda’ il verbo da una parte e dall’altra: a n è brîsa turnê significa semplicemente ‘non è tornato’.
Come si vede, la particella non in questi dialetti è ridotta a una piccola ‘n’, mentre parole come brîsa (o pas, o mica) sono foneticamente ben più evidenti: si finisce allora per dire soltanto brîsa, omettendo del tutto quella mini-particella negativa ‘n’, come ad esempio in bolognese nell’imperativo negativo brîsa fèr acsè! ‘non fare così!’ (lett: ‘briciola fare così!’): in frasi di questo tipo, brîsa è ormai l’unica negazione possibile. La cosa curiosa è che queste particelle, ormai diventate pienamente negative, conservano in altri contesti, a volte, anche il valore ‘normale’. In francese personne vuol dire, letteralmente, sia ‘persona’, sia ‘nessuno’!
Una cosa simile è avvenuta in area lombarda con mica, ancora un pezzettino di pane, che ormai in quei dialetti vuol dire nient’altro che ‘non’, e si mette ormai dopo il verbo senza alcun ‘non’ che preceda: hoo magnaa miga ‘non ho mangiato’, e senza riferirsi assolutamente al cibo e al pane, vegni miga vuol dire semplicemente ‘non vengo’. Tanto si è spinto il processo di portare la negazione da ‘prima del verbo’, poi ai ‘due lati del verbo’, e infine ‘dopo il verbo’, che a Milano anche il ‘non’ si è spostato, e si dice anche mangi nò ‘non mangio’. Per chi è interessato, questa evoluzione ciclica delle negazioni che si ritrova molto simile in molte lingue del mondo, anche estremamente esotiche, e si chiama ‘ciclo di Jespersen’.
In italiano il processo è in corso, ma l’evoluzione non è ancora completa, perlomeno nell’italiano scritto e nel parlato formale. Si può dire non ho mica mangiato, e mica ha perso totalmente il significato di ‘pezzetto di pane’, questo sì, ma non si è ancora arrivati al valore di puro ‘non’. Mica infatti ci serve per dire qualcosa come ‘contrariamente a quello che si potrebbe pensare’. Ma nel parlato, specie del nord, si va oltre e ormai si sentono dire cose come l’hai visto? O mica?, dove quel valore di mica, che i linguisti chiamano presupposizionale, è ormai quasi scomparso in favore di un significato sempre più simile a un semplice ‘no’.